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Il procuratore Falvo: «Ogni volta che non denunciamo regaliamo libertà alla ‘ndrangheta»

In occasione del compleanno della giovane vittima di mafia, Filippo Ceravolo, è stato organizzato un incontro all’Istituto di criminologia di Vibo

Pubblicato il: 04/05/2022 – 16:36
di Alessia Truzzolillo
Il procuratore Falvo: «Ogni volta che non denunciamo regaliamo libertà alla ‘ndrangheta»

VIBO VALENTIA «Io non sono un predestinato. Ho deciso di fare il concorso in magistratura dopo le stragi degli anni 90 che hanno ucciso Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Mi ero laureato poco tempo prima, l’otto maggio». Ha parlato con il cuore aperto e con il consueto garbo, il procuratore di Vibo Valentia Camillo Falvo che questa mattina è intervenuto nel corso di un incontro all’Istituto italiano di Criminologia di Vibo, diretto da Saverio Fortunato, per ricordare Filippo Ceravolo, giovanissima vittima innocente di una guerra di ‘ndrangheta, nel giorno della sua nascita. Ad un pubblico composto prevalentemente da ragazzi delle scuole superiori, il magistrato ha voluto parlare anche di sé, spiegando di non essere stato un predestinato a diventare magistrato neanche per questioni familiari: «I miei genitori hanno la quinta elementare». Filippo è morto il 28 ottobre del 2012, aveva 19 anni e la sua famiglia non si è mai fermata nel chiedere giustizia. E ci crede, nella giustizia, il padre di Filippo, Martino Ceravolo il quale rivolgendosi a Falvo ha detto: «Noi, la famiglia Ceravolo, siamo sicuri che state lavorando bene. Aspettiamo. Sappiamo che la Procura di Nicola Gratteri è al lavoro e aspettiamo».

«Ogni volta che rinunciamo a denunciare regaliamo libertà alla ‘ndrangheta»

Anche il procuratore Falvo ha portato speranza. Ha raccontato del suo lavoro di sostituto procuratore della Dda applicato a Cosenza. «Mi chiamavano il magistrato dei cold case», ha detto. «La giustizia è lenta anche perché non parla nessuno, non ci sono testimoni. Spesso ci troviamo a lavorare così ma ci si arriva». È necessario, però – sottolinea il magistrato per primo ha coordinato, insieme al procuratore Gratteri, le indagini della maxi-inchiesta Rinascita – il contributo di tutti: «La mafia non la si combatte con le operazioni. Ad ogni retata ci sarà il doppio delle persone pronta a prendere il posto degli arrestati. I cittadini perbene devono ribellarsi. È sempre importante parlare di ‘ndrangheta, acquisire consapevolezza di quanto sia il vero cancro di questa terra. La ‘ndrangheta non è un alibi, esiste e stritola il territorio». Falvo ha spiegato che quando ha iniziato la propria carriera come sostituto procuratore della Dda applicato al territorio di Vibo «c’erano cosche che non erano riconosciute» e il territorio vibonese era così controllato che c’erano ditte che preferivano lavorare su Reggio piuttosto che su Vibo. Per questa ragione, oggi più che mai è necessario denunciare per non lasciare spazio d’azione alla criminalità. «Ogni volta che rinunciamo a fare una denuncia cominciamo a regalare un pezzo di libertà alla ‘ndrangheta».

Tagliare la torta al cimitero

Il volto oscuro della ‘ndrangheta lo ha raccontato ai ragazzi Martino Ceravolo che da dieci anni va a «tagliare una torta al cimitero». La ‘ndrangheta è anche una nipotina che ha sei anni e che comincia a porre mille domande sulla morte di quello zio che non ha mai conosciuto ma che è così presente nella sua vita e nella casa della sua famiglia. «Noi, dice rivolgendosi al magistrato Falvo, abbiamo affidato la vita di Filippo a Dio e a voi». Martino Ceravolo racconta che lui, sua moglie e i figli sono stati più volte provocati in paese, a Soriano Calabro, da «questi signori» e che «dopo la sparatoria del 31 gennaio scorso – costata la vita al 39enne Giuseppe De Masi – la gente a paura di uscire». «I ragazzi hanno diritto di vivere», ha detto Ceravolo.

Le vite spezzate di Filippo e Francesco

Filippo ha perso la vita il 28 ottobre 2012 nel corso di un agguato destinato a Domenico Tassone che guidava l’auto presa di mira da una pioggia di fuoco al calvario di Vazzano, vicino Soriano Calabro. Filippo, seduto al posto del passeggero, ha avuto la peggio e oggi a ricordarlo e a raccontare tutta la vicenda c’è il libro “Vite spezzate” di Maria Maiolo. Da allora Martino Ceravolo si reca anche di notte al cimitero a trovare suo figlio.
Chi non ha un luogo di preghiera invece, è la mamma di Francesco Vangeli, morto a 26 anni per una ragazza contesa con le persone sbagliate. I presunti assassini sono a giudizio ma il corpo di Francesco è stato gettato nelle acque del fiume Mesima e non è mai stato ritrovato. «Purtroppo io non ho un cadavere. Non ho niente in mano. Mi chiedo perché noi mamme dobbiamo vivere un dolore così grande», ha detto oggi la mamma di Vangeli. «Io ho quattro processi aperti, una sentenza e un’altra sentenza che dovrebbe arrivare. Devo ringraziare il procuratore Gratteri. Mi sono sempre stati vicini».

«C’è luce di speranza»

«La famiglia Ceravolo è una famiglia molto unita», ha raccontato l’avvocato MIchele Gigliotti che da anni assiste Martino e i suoi familiari. «Filippo ha valore simbolico enorme – ha detto Gigliotti –. Bisogna combattere i modelli tossici ai quali sono sottoposti i ragazzi che magari sentono chiamare le forze dell’ordine “sbirri” in famiglia, in senso dispregiativo». 
Alla domanda del moderatore dell’incontro, il giornalista Rai Riccardo Giacoia, se vi fosse una luce di speranza nella risoluzione del caso, Michele Gigliotti ha annuito con forza: sì, una luce di speranza c’è. Anzi, ha detto di più, ha invitato i ragazzi a essere presenti quando la famiglia Ceravolo si costituirà parte civile nel processo contro gli assassini di Filippo. (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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