«.. E quindi se io fossi stato comunista, o un borghese come Moravia o avessi compiuto una catarsi credendo nelle superstizioni assai care a un mondo omogeneo e dominante, certo avrei avuto un’altra considerazione…». Se c’è un autore che fotografa la storica difficoltà del mondo di destra o moderato di praticare un ‘opzione culturale questi è Giuseppe Berto.
Sepolto a Capo Vaticano, ignorato nel 2014 dall’allora giunta regionale di centrodestra (!) nell’anno del suo centenario (Mario Caligiuri tentò di commemorarlo senza successo) il grandissimo scrittore veneto, calabrese d’adozione, è la metafora dell’impossibilita del centrodestra di costruire una sua classe dirigente, sia nell’ambito della cultura, sia nella società civile.
Fascista ma anarchico, conservatore per antitesi, l’autore de “Il male oscuro”, osannato da Burgess, tradotto in 15 lingue, è ancora misconosciuto in Italia.
Eppure, da “La Gloria” sino ad “Anonimo Veneziano”, Berto ha regalato una lirica autenticamente viva, paragonabile per perifrasi ad Italo Svevo.
A quel mondo congelato del conservatorismo, Berto dedico anche un meraviglioso pamphlet, Modesta proposta per prevenire, che racchiudeva profeticamente la possibilità per un universo tenuto in ostaggio dalla realizzazione del pensiero gramsciano di poter emergere finalmente dall’oblio.
Che Berto sia poco conosciuto dalla classe dirigente “moderata” è un altro sintomo preoccupante della mancanza di consapevolezza culturale che aleggia in un polo che forse è maggioranza nel Paese ma che non sa riconoscere le sue radici.
Bepi, come lo chiamavano affettuosamente gli amici, sarebbe quanto mai attuale. Eppure, il suo nome non compare nella didattica ufficiale, come del resto accaduto a Prezzolini, Longanesi, Soffici, Ricci, e tanti altri ancora.
Il suo esempio, la sua spietata e cinica autoanalisi, sono una pietra miliare della letteratura contemporanea.
Ma la “dimenticanza” che ha subito lascia pensare che il cosiddetto polo moderato soffra di amnesia, orientato a una continua cooptazione (di manovalanza e non di elite) che non ha mai portato a nulla di buono. Del resto, non c’è un partito della coalizione che abbia lanciato una tesi culturale, il terreno su cui svolgere l’azione politica.
Giuseppe Berto merita di essere celebrato per la sua prosa innovativa, per il neo futurismo con cui ha colorato i suoi capolavori, per una vita sofferente ed emarginata che lo ha portato a essere nel limbo per tanti anni.
E quel finale meraviglioso de Il male oscuro, che annuncia la sua scelta di guardare da morto il promontorio di Capo Vaticano, inserito in ogni dépliant turistico. Perché egli ha profondamente amato la Calabria, come un contadino letterato.
*giornalista
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