LAMEZIA TERME «Tra le consorterie tratte a giudizio la più importante e potente è senz’altro la cosca Mancuso capeggiata da Luigi Mancuso». Così ha inizio uno dei capitoli più importanti presenti nella sentenza d’abbreviato del maxi processo Rinascita-Scott attraverso la quale, lo scorso sei novembre, il gup Claudio Paris ha inflitto 70 condanne e deciso per 20 assoluzioni. Il capitolo si intitola “La ‘Ndrangheta vibonese, tra federalismo, tentazioni stragiste e massoneria. La figura di Luigi Mancuso “il Supremo”.
In un documento di 851 pagine – depositato oggi nel corso dell’udienza del processo ordinario dal pm Antonio De Bernardo – il giudice ha espresso le motivazioni della propria pronuncia. E non solo. Fa anche una summa storica di quelle che sono molteplici indagini contro la ‘ndrangheta calabrese espresse nel corso degli anni. L’esistenza della famiglia Mancuso viene sancita con la sentenza “Dinasty” che la definisce come un sodalizio criminoso operante nell’intera provincia vibonese. Luigi Mancuso (che è imputato nel processo con rito ordinario) viene considerato al vertice della ‘ndrangheta vibonese – come ha detto anche il collaboratore di giustizia Vincenzo Marino interrogato il 19 luglio 2018 – «una delle poche persone che’ si poteva sedere al tavolo con le persone di San Luca». Mancuso viene definito dal collaboratore di giustizia Andrea Mantella «il più giovane capo crimine», un uomo di «fama nazionale e non solo regionale».
Anche il pentito catanese Giuseppe di Giacomo parla di Luigi Mancuso. Il collaboratore racconta di avere avuto modo di apprendere notizie relative alla strategia criminale di Totò Riina il quale aveva soprattutto un obiettivo: «Quello di estendere il coinvolgimento nella lotta alle istituzioni anche alla ‘ndrangheta ed alla camorra, anche in rivendicazione di alcuni favori resi nel tempo a queste organizzazioni». La ‘ndrangheta aveva debiti di riconoscenza con la mafia siciliana risalenti all’epoca in cui Riina intervenne per favorire la pace a Reggio Calabria dopo l’omicidio di Paolo De Stefano. «Per sdebitarsi, i calabresi fornirono appoggio ed esecutori materiali per l’omicidio del giudice Scopelliti, Procuratore generale nel giudizio di Cassazione del maxi processo contro cosa nostra. Come noto, successivamente ci furono gli omicidi si Salvo Lima e dei giudici Falcone e Borsellino». Con le stragi lo Stato reagì e questo «determinò nei vertici di Cosa nostra la volontà di attaccare lo Stato anche attraverso omicidi di appartenenti alle forze dell’ordine, in particolare modo della Polizia penitenziaria, fino a giungere agli attentati di Roma, Firenze e Milano. Nello stesso contesto, arrivò l’ordine da Cosa nostra, tramite Santo Mazzei (uno dei capi di cosa nostra, ndr), di appoggiare elettoralmente la neo formazione politica di Forza Italia, sulla quale vi erano forti aspettative affinché risolvesse i problemi sopra indicati. So che la ‘ndrangheta collaborò in questo senso, ancora prima che io fossi arrestato, facendosi carico dell’uccisione di due carabinieri». Di Giacomo racconta di avere conosciuto Luigi Mancuso e il nipote Giuseppe Mancuso nel carcere di Cuneo tra il 1997 e il 2001. «Anche Luigi aveva la stessa carica di Pino Piromalli, cioè il Crimine», afferma il pentito.
Secondo il collaboratore Andrea Mantella «a Gioia Tauro quando si faceva riferimento al capo dei Mancuso si intendeva Luigi Mancuso. Era considerato uno dei “tre punti della stella”, questi infatti erano: Luigi Mancuso (a Limbadi), Pino Piromalli (a GioiaTauro) e Nino “Testuni”, ossia Pesce, a Rosarno». A questa dichiarazione di Mantella e alla dichiarazione di Di Giacomo si associa una conversazione del 20 luglio 2018. La introduce il gup Paris: «Sulla rilevanza in dinamiche di altissimo profilo in cui sarebbe stato inserito Giuseppe Piromalli, verte una conversazione ambientale intercettata in data 20 luglio 2018, tra l’avvocato ed ex senatore di Forza Italia Giancarlo Pittelli (imputato nel processo con rito ordinario, ndr), Marco Moladori e Tonino Laugelli dell’Anas, nella quale Pittelli riferiva ai suoi interlocutori che, per la formazione di Forza Italia, la prima persona che Dell’Utri avrebbe contattato fu Piromalli a Gioia Tauro che il Pittelli accostava, per importanza mafiosa, a Luigi Mancuso. “Ragazzi – dice Pittelli – Dell’Utri io lo so perché Dell’Utri la prima persona che contattò per la formazione di Forza Italia fu Piromalli a Gioia Tauro non so se ci…se ragioniamo, tu pensa che ci sono due mafiosi in Calabria, che sono i numeri uno in assoluto, uno è del vibonese e l’altro è di Gioia Tauro, uno si chiama Giuseppe Piromalli, e l’altro si chiama Luigi Mancuso, che è più giovane e forse più potente – io li difendo dal 1981, cioè sono trentasette anni che questi vivono qua dentro… pazzesco… l’altro giorno ci pensavo dico trentasette anni”».
Il gup annota: «I rapporti tra il senatore Dell’Utri e la ‘ndrangheta e, più in generale, i massimi esponenti di Forza Italia e la criminalità organizzata sono stati poi approfonditi nel processo “Cent’anni di storia”. L’attualità dei rapporti, nei termini finora descritti, tra i Mancuso e il Crimine di Reggio Calabria è stata documentata nell’informativa dei Ros di Catanzaro, dalla quale emerge che Luigi Mancuso è il referente principale della ‘ndrangheta vibonese, pertanto definito “il Supremo”. Così come, per quanto riguarda ì rapporti tra la ‘ndrangheta e “cosa nostra”, a cui prima si è fatto riferimento e sul quale barino riferito nel dettaglio i collaboratori di giustizia Di Giacomo e Virgiglio, le recenti dichiarazioni di Andrea Mantella (del 24 novembre 2017) confermano che Luigi Mancuso, al tempo della “mafia stragista”, fu interpellato da cosa nostra”.
Secondo il gup «non possono non citarsi le eloquentissime parole di Pantaleone Mancuso valorizzate nel procedimento ‘’Mammasantissima’’».
L’intercettazione risale al sette ottobre 2011 e Pantaleone Mancuso, uno dei vertici della famiglia di Limbadi afferma che ‘ndrangheta e massoneria si sono ormai fuse insieme e che «la ‘ndrangheta fa parte della massoneria».
«La ‘ndrangheta non esiste più! … una volta, a Limbadi, a Nicotera, a Rosamo, c’era la ‘ndrangheta! … la ‘ndrangheta fa parte della massoneria! […] diciamo è sotto della massoneria, però hanno le stesse regole e le stesse cose […] ora cosa c’è più? … ora è rimasta la massoneria e quei quattro storti che ancora credono alla ‘ndrangheta! […] una volta era dei benestanti la ‘ndrangheta!… dopo gliel’hanno lasciata ai poveracci, agli zappatori … e hanno fatto la massoneria!?.. le regole quelle sono! … come ce l’ha la massoneria ce l’ha quella…». (a.truzzolillo@corrierecal.it)
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