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l’inchiesta

La cosca nella Capitale era guidata da due boss. «Noi a Roma propaggine di là sotto»

Carzo e Alvaro avevano ottenuto nel 2015 il via libera dalla casa madre in Calabria. In manette un commercialista e un bancario

Pubblicato il: 10/05/2022 – 11:10
La cosca nella Capitale era guidata da due boss. «Noi a Roma propaggine di là sotto»

ROMA Era formata da una diarchia la ‘ndrina “locale” che operava a Roma da alcuni anni dopo avere ottenuto il “via libera” dalla casa madre in Calabria. È quanto emerge dall’indagine della Dda della Capitale e Dia, coordinata dai procuratori aggiunti Michele Prestipino e Ilaria Calò e che ha portato alla emissione di 43 misure cautelari. A capo della struttura criminale c’erano Antonio Carzo e Vincenzo Alvaro, entrambi appartenenti a storiche famiglie di ‘ndrangheta originarie di Cosoleto, centro in provincia di Reggio Calabria.

L’autorizzazione per costituire il “locale” nell’estate del 2015

Le risultanze investigative hanno evidenziato come fino al settembre del 2015 non esistesse una “locale” nella Capitale, anche se sul territorio cittadino operavano numerosi soggetti appartenenti a famiglie e dediti ad attività illecite. Nell’estate del 2015 Carzo avrebbe ricevuto, secondo quanto accertato dagli inquirenti, dall’organo collegiale posto al vertice dell’organizzazione unitaria (la Provincia e Crimine) l’autorizzazione per costituire un struttura locale che operava nel cuore di Roma secondo le tradizioni di ‘ndrangheta: riti, linguaggi, tipologia di reati tipici della terra d’origine.
Il gruppo agiva su tutto il territorio di Roma con una gestione degli investimenti nel settore della ristorazione (locali, bar, ristoranti e supermercati) e nell’attività di riciclaggio di ingenti somme di denaro. Nei confronti degli indagati si contesta, tra gli altri, l’associazione mafiosa, cessione e detenzione di droga, estorsione e fittizia intestazione di beni. In tutto sono state sequestrate 24 società e poi ristoranti, bar e pescherie nella zona Nord di Roma e in particolare nel quartiere di Primavalle.

Alvaro: «Siamo una carovana per fare la guerra»

È un’inchiesta sulla ‘ndrangheta imprenditrice quella della Dda di Roma. E narra il modo in cui Vincenzo Alvaro è riuscito a rimettersi in affari dopo il suo primo coinvolgimento in un’operazione dell’antimafia della Capitale. Rispettato anche per la sua capacità di tirarsi fuori dai guai, Alvaro aveva ben presenta quale fosse la “potenza di fuoco” del clan: «Siamo una carovana per fare la guerra», afferma in un’intercettazione agli atti.

«Noi a Roma propaggine di là sotto»

«Noi a Roma siamo una propaggine di là sotto». È una delle intercettazioni chiave, ritenuta dagli inquirenti significativa dei rapporti tra il “locale” romano e la ‘ndrangheta in Calabria. L’attività degli inquirenti ha fatto emergere l’esistenza nella Capitale della prima ‘ndrina riconosciuta ufficialmente dalla “casa madre ” in Calabria. Il gruppo, come detto era guidato dai boss Vincenzo Alvaro e Antonio Carzo. Ma tra le persone raggiunte oggi da misura cautelare anche alcuni professionisti accusati di «avere messo a disposizione» della cosca il loro bagaglio di conoscenze. Si tratta di un commercialista, al quale il gip ha applicato la misura del carcere per concorso esterno in associazione mafiosa, e un dipendente di una banca. Contestualmente le forze ordine (questure, i carabinieri e guardia di finanza di Roma e Reggio Calabria) hanno proceduto a un sequestro preventivo nei confronti di una serie di società ed imprese individuali operanti a Roma e intestate a prestanome.

Operazione della Dia nel Lazio e in Calabria

L’operazione messa a segno dalla Direzione Investigativa Antimafia a Roma e provincia, in Lazio, a Reggio Calabria e in Calabria ha portato all’esecuzione di un’ordinanza cautelare del gip di Roma su richiesta della Dda romana nei confronti di 43 persone. Alcuni sono accusati di far parte di una locale di ‘ndrangheta, radicata nella capitale e finalizzata ad acquisire la gestione e il controllo di attività economiche in svariati settori, ittico, panificazione, pasticceria, del ritiro delle pelli e degli olii esausti. in corso anche perquisizioni e sequestri e l’esecuzione di misure cautelari disposte dal Gip su richiesta della Dda reggina.

Il controllo egemonico dell’organizzazione sull’economia del territorio

L’organizzazione secondo quanto riferito dagli inquirenti, faceva poi sistematicamente ricorso ad intestazioni fittizie al fine di schermare la reale titolarità delle attività. Inoltre, secondo quanto emerso dalle indagini sviluppate dal Centro operativo Dia di Roma – denominate “Propaggine” – l’organizzazione si proponeva anche il fine di commettere delitti contro il patrimonio, contro la vita e l’incolumità individuale e in materia di armi, affermando il controllo egemonico delle attività economiche sul territorio, realizzato anche attraverso accordi con organizzazioni criminose omologhe. A Reggio Calabria le misure sono state emesse all’esito del coordinamento investigativo con la Direzione distrettuale antimafia di Roma.

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