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vite di mafia

La «fratellanza» tra Mancuso e De Stefano. «Zio Luigi è il numero uno della ‘ndrangheta»

La sentenza Rinascita Scott in abbreviato evidenzia rapporti d’affari e “rispetto” tra i clan. «La linea è quella». I legami del boss di Limbadi con i clan Piromalli, Coluccio e Alvaro

Pubblicato il: 10/05/2022 – 6:57
di Pablo Petrasso
La «fratellanza» tra Mancuso e De Stefano. «Zio Luigi è il numero uno della ‘ndrangheta»

CATANZARO Tra una risata e l’altra i luogotenenti di due pezzi della nobiltà ‘ndranghetista confermano assonanze e “rispetto”.  Pasquale Gallone e Lorenzo Polimeno rappresentano – secondo il gup Claudio Paris che ha firmato le motivazioni della sentenza con rito abbreviato del processo Rinascita Scott – i casati mafiosi Mancuso e De Stefano. E ribadiscono «una comunanza di interessi e di visione frutto di una vera e propria fratellanza». Oggetti dei comuni interessi sono un acquisto di cocaina e il «recupero forzoso» del credito di un imprenditore. Davanti ai due affari e alla prospettiva di chiuderli positivamente, i due non hanno dubbi. «Pure noi abbiamo questa filosofa – si dicono. Vedi come si dice, buon sangue non mente, no? La linea quella è. (…) Possono separarci un po’ di chilometri ma la linea è quella». 

Il debitore da “punire”. «Se l’ammazziamo perdiamo i soldi»

Gallone, considerato uomo del boss Luigi Mancuso, si rivolge «a esponenti della ‘ndrangheta reggina, e segnatamente a Orazio De Stefano», attraverso il suo emissario Polimeno «per il credito vantato verso due clienti reggini da un imprenditore» che lo stesso Gallone considera «un carissimo… è di famiglia questo qua». Polimeno va più volte a casa del luogotenente del boss di Limbadi «per discutere di questa e di altre questioni comuni alle rispettive consorterie». La questione è di difficile soluzione. Per quanto «interpellato e reiteratamente minacciato», il debitore «non è proprio nelle condizioni di adempiere (“perché questo qua dice gli deve dare soldi a mezzo mondo”)». L’episodio permette al giudice di affermare che Polimeno «agisce su incarico di Orazio De Stefano, a sua volta coinvolto nella vicenda da Luigi Mancuso, al quale è legato da storica “amicizia” e profondo “rispetto”, nel senso ‘ndranghetistico dei termini». Nelle pagine della sentenza viene riportato uno stralcio di intercettazione che è un piccolo compendio del rispetto tra clan amici. Fin dall’esordio: «Allora le cose sono due: o l’ammazzo e ve lo porto…», soluzione proposta da Polimeno e scartata da Gallone. L’idea della cosca di Limbadi è quella di «pretendere 35mila euro a 500 euro al mese». Scomode che l’imprenditore reggino non può permettersi in quella fase, al punto che la cosca amica dei Mancuso pensa ad autotassarsi: «Io questa mattina ho ragionato con Orazio – dice Polimeno – Orazio mi ha detto “Lorenzo, se dobbiamo rispondere allo zio Luigi li prendiamo di sacca e glieli diamo” e ce li scontiamo con questo». Gallone è irremovibile: «No, no… l’impegno lo deve pagare lui». «E se non li ha cosa faccio, l’ammazzo?», risponde Polimeno. Non se ne parla proprio: «E no… l’ammazziamo?! Non perdiamo anche i soldi?». 

Gli elogi di De Stefano per Mancuso: «È il numero uno della ‘ndrangheta»

Gli elogi di De Stefano per Mancuso: «È il numero uno della 'ndrangheta»
Orazio De Stefano

Al di là del tono e dell’eloquenza del dialogo, il gup spiega che non possono esserci dubbi sul coinvolgimento di Orazio De Stefano nella vicenda. D’altra parte Gallone lo menziona, in una conversazione con Giancarlo Pittelli del 5 agosto 2016, «come la persona con la quale aveva pranzato a Reggio Calabria e come uno degli associati ai vertici dell’intera ‘ndrangheta calabrese». Inoltre Polimeno «aveva accennato alla “difficoltà di muoversi” che il suo capo aveva in quel periodo, così chiaramente confermando il riferimento a De Stefano che, in quell’arco temporale, era sottoposto alla misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno a Reggio Calabria». Ecco le parole di Gallone: «Orazio De Stefano, il fratello della buon’anima di Paolo De Stefano, questo di Reggio, lo sai che mi ha detto? Una settimana fa, dieci giorni indietro sono andato a mangiare a Reggio e mi ha detto: “Lui”, mi ha detto, “è il numero uno dei cosi”… come cazzo si dice la parola… no… “è  il numero uno”, ha detto, “per il carisma che ha, è il numero uno della ‘ndrangheta”». 


I patti tra clan


L’affare della coca. «Ma a questa porcheria è stato sempre contrario»

L’accordo tra i due emissari viene confermato in occasione della cessione di una rilevante partita di cocaina. La richiesta arriva dal clan reggino. Gallone non espone il proprio “capo”: «Lui di queste cose non ne ha mai voluto a che sapere… di questa porcheria lui è stato sempre contrario… posso vedere e chiedere». L’affare, comunque, si chiude. Polimeno chiede «quella buona… a scaglie è buona» e il “compare” risponde che «la cacciavano cara… a 35 o 37… vedete che 37 ne vogliono». In un incontro successivo i due si compiacciono «del particolare successo che» la coca «sta riscuotendo sul mercato». «Quella è una cosa che cammina da sola» dicono. Business e interessi comuni legano le cosche del Vibonese e quelle del Reggino. Alcuni rapporti sono consolidati, fissati in atti giudiziari da anni. 

La rete di rapporti nel Reggino: Coluccio, Alvaro e Polimeno

Il gup li richiama in un paragrafo dedicato. E chiarisce che, «oltre alla politica di rappacificazione, Mancuso, una volta scarcerato, manteneva rapporti con le principali famiglie mafiose del Reggino, quali i Coluccio di Siderno, gli Alvaro e i Polimeno di Sinopoli». Lo documentano «i sistematici summit avvenuti tra Luigi Mancuso e i principali esponenti delle cosche menzionate», anche nel periodo «in cui il boss di Limbadi si rendeva irreperibile». Giuseppe Rizzo, uno degli imputati nel processo con rito abbreviato, «oltre a farsi latore delle ambasciate per conto dello “Zio”, favoriva materialmente gli incontri facendo da autista per il boss». Il suo ruolo era emerso già nell’indagine “Acero”: all’epoca «era emersa l’organizzazione volta al narcotraffico da parte della consorteria dei Coluccio e quella di Limbadi, in cui si stagliava, con il ruolo di intermediario, la figura di Rizzo che in quel momento storico viveva a Milano e gestiva il “Bar Brianza”». In una conversazione del 17 gennaio 2013, «i Coluccio si accomiatano da Rizzo raccomandandogli di salutare per loro lo “Zio Luigi”». Sempre nell’inchiesta “Acero” è documentato un altro incontro con i Coluccio, questa volta a Siderno. Prima e dopo l’incontro Rizzo avrebbe incontrato Luigi Mancuso: lo raccontano le celle agganciate dal suo cellulare. Di più: l’11 maggio 2013 ancora Rizzo, e sempre per conto dello “Zio”, si sarebbe recato a Sinopoli per incontrare gli Alvaro

Lo storico legame con i Piromalli

Non ci sono soltanto gli intermediari: tra il 26 giugno 2014 e il 12 agosto 2017, periodo durante il quale Luigi Mancuso si rende irreperibile, «sono stati monitorati gli spostamenti del boss, ricostruita la sua rete di “assistenza” e documentato il suo relazionarsi costante con tutte le cosche a lui facenti capo e con quelle del Reggino». Mancuso mantiene rapporti con i Piromalli già emersi nei processi “Tirreno”, “Mafia delle tre province” e “Porto”. Rapporti «favoriti da una serie di sodali di fiducia del gruppo, tra cui Gianfranco Ferrante, il già nominato Rizzo Giovanni e il fratello Giuseppe, Emanuele La Malfa, Gaetano Molino». E i Piromalli «inviavano Domenico Gangemi», nipote di Antonio Molè, ai vertici della consorteria. Una rete vasta, che copre tutte le aree del Crimine nella Provincia di Reggio Calabria. Questione di “rispetto” e di reciproca convenienze. Rete unica a rimarcare il comune sentire mafioso. «La linea è quella», d’altronde. (p.petrasso@corrierecal.it)

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