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Gli Alvaro, cosca “perfetta”: giovani leve, un tribunale e il nonno che sgomita per entrare nel gruppo armato

L’inchiesta della Dda di Reggio ricostruisce ruoli e caratteristiche di uno dei clan «più potenti e pericolosi della Calabria». La decisione del gip su tre over 70: in carcere perché molto pericolosi

Pubblicato il: 11/05/2022 – 15:13
di Pablo Petrasso
Gli Alvaro, cosca “perfetta”: giovani leve, un tribunale e il nonno che sgomita per entrare nel gruppo armato

REGGIO CALABRIA È la cosca “perfetta”. Per l’«organizzazione dei ruoli» che «costituisce un sicuro punto di forza del sodalizio». Per il «rigido ordine», spia «della straordinaria capacità criminosa dell’organizzazione, inossidabile agli attacchi provenienti dall’esterno e capace di ricomporsi in autonomia dinanzi a frizioni» interne. Il clan Alvaro è capace di autorigenerarsi, e radicato sul territorio nonostante le articolazioni «in luoghi diversi della Calabria». La cosca di Sinopoli, chiarisce il gip distrettuale di Reggio Calabria nelle pagine dell’inchiesta “Propaggine”, è «una delle più potenti e pericolose attualmente esistenti sul territorio calabrese». Anche perché «capace di ricevere sempre nuova linfa vitale da parte di giovani leve, che vengono formalmente inserite nel tessuto criminale dell’organizzazione ovvero si rendono destinatarie di progressioni di carriera determinanti per il mantenimento degli equilibri interni al sodalizio». Gli ingredienti: ricambio generazionale, gerarchie ferree e un insieme di «regole non scritte che tengono strettamente legati tutti gli accoscati». Anche i corpi perfettamente funzionanti, però, presentano anomalie. E prevedono contromisure: «La violazione di queste regole – ancorché proveniente da uno dei membri al vertice del sodalizio – viene non solo criticata dagli altri sodali, ma sanzionata, mettendo in “stato d’accusa” il trasgressore, il cui operato viene poi rimesso alla valutazione di un vero e proprio tribunale». Una struttura ben oliata e con le peggiori “intenzioni”: ricorso alla violenza, pericolosità sociale, «adesione alle regole e ai valori tipicamente mafiosi». Perché «chi entra a far parte di una cosca di ‘ndrangheta aderisce a un sistema di potere e di valori che diventa l’unica regola da seguire nella vita e che rende tale scelta difficilmente reversibile».

Il locale di Cosoleto: il “direttorio” e gli screzi tra gli Alvaro e i Carzo

Il locale di ‘ndrangheta di Cosoleto ha un “direttorio” formato dai membri più anziani: i fratelli Alvaro, Nicola detto “u beccausu” e Antonio detto “u massaru”, e Domenico Carzo, 81enne detto “scarpacotta”. A questo gruppo si affianca come terminale operativo – data l’età avanzata dei “capi” – Franceso Alvaro, 65 anni, detto “Ciccio Testazza”, figlio di Antonio Alvaro. È lui che «si occupa della materiale gestione della cosca, gestione tuttavia non sempre condivisa dai sodali e anche dagli stessi membri anziani». È proprio l’atteggiamento di “Ciccio Testazza” a creare malumori con i Carzo, il patriarca Domenico e suo figlio Antonio, che con Vincenzo Alvaro dirigeva il ramo del clan nella Capitale. Gli screzi sorti hanno quasi innescato una faida interna, segno che anche nei corpi perfetti ci sono delle crepe. I Carzo, infatti, «non si facevano alcuno scrupolo a manifestare l’intenzione di porre in essere violente ritorsioni nei confronti di Francesco Alvaro e dei sodali a lui più vicini» tra i quali i magistrati antimafia citano Carmelo Versace “u Jack” e i suoi figli Francesco e Giuseppe; Antonino Versace “u brizzu”; Francesco Luppino, “Ciccio Mazza”. Il gip sottolinea l’importanza nell’economia del clan delle «giovani leve che costituiscono il futuro del sodalizio: Domenico Alvaro», appena 34enne, «possiede un’elevatissima dote di ‘ndrangheta, quella del “Vangelo”». E poi ci sono gli altri «giovani adepti – formalmente battezzati – che hanno dimostrato non solo di essere a conoscenza delle dinamiche interne al sodalizio, ma di sposarne i valori e di condividerne gli obiettivi».

Il locale di Sinopoli e «la mafiosità della famiglia Penna»

A Sinopoli, invece, l’inchiesta “Timoteo” «ha fatto emergere a tutto tondo la mafiosità della famiglia Penna, legata a doppio filo con gli Alvaro». Al centro del clan ci sono i fratelli Giuseppe, Antonino e Carmine. Il primo è «operativo» nel Lazio; il secondo dirige la cosca nonostante sia detenuto da lungo tempo, «grazie al mantenimento dei rapporti con l’esterno» e «sia mediante l’utilizzo di un telefono cellulare dal carcere, sia mediante i colloqui carcerari»; il terzo anch’egli detenuto ma solo dopo essere sfuggito all’inchiesta “Grifone”, nascosto per tre mesi in un’abitazione del quartiere Tremulini di Reggio Calabria. A capo delle giovani leve c’è Giovanni Penna, mentre Carmela, sorella di Giuseppe, Antonino e Carmine è «un vero e proprio ponte con l’esterno per il fratello Antonino». Anche Carmine Alvaro “u cuvertuni” e Carmelo Alvaro “Bin Laden” sono considerate «due figure dal notevole profilo criminale, in stretti rapporti con i Penna».

Il nonno che vuole partecipare al blitz «a scuppettate»

Il gip decide di disporre la misura cautelare in carcere anche per tre ultrasettentenni: Domenico Carzo “scarpacotta”, Francesco Luppino “Ciccio Mazza” e Domenico Surace “u pulentuni” poiché ritiene «sussistenti esigenze di eccezionale rilevanza». Il ruolo di Luppino nel clan «è parso particolarmente operativo». L’anziano «partecipava alle riunioni di ‘ndrangheta, le cosiddette “mangiate”, aveva il potere di interloquire con i membri anziani del sodalizio e di contriubuire ad opporre un “veto” ai cerimoniali di ‘ndrangheta proposti da Domenico Carco”». L’autorevolezza criminale di Surace, invece, emergerebbe «dall’episodio della cerimonia di ‘ndrangheta che si sarebbe dovuta svolgere nel corso di una “mangiata” alla quale, tuttavia, Surace non avrebbe potuto partecipare per un concomitante impegno». Per questo Francesco Alvaro avrebbe deciso «di differire la riunione al sabato successivo». Domenico Carzo, 81 anni, da parte sua, è «parte del “direttorio”» insieme al 95enne Nicola Alvaro e all’85enne Antonio Alvaro (questi ultimi posti agli arresti domiciliari per l’età avanzata). Carzo, «nonostante l’età avanzata ha dimostrato in più occasioni di essere pienamente operativo sul territorio». Avrebbe proposto «cerimoniali per il conferimento di doti» di ‘ndrangheta e sarebbe stato «destinatario di un “veto” da parte di Francesco Alvaro, cosa che aveva messo in agitazione i Carzo, avrebbe voluto organizzare in prima persona un attentato nei confronti dei “jack” e cioè di Carmelo Versace e dei suoi figli». In quella occasione, Vincenzo Carzo riporta le parole dell’anziano parente: «Il nonno voleva organizzare che partivamo in quattro, pure lui con loro per accompagnarli a scuppettate». Un ultraottantenne che sgomita per entrare nel gruppo armato del clan. (p.petrasso@corrierecal.it)

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