REGGIO CALABRIA Lei, ex paladina antimafia indagata per truffa, aveva querelato il suo avvocato accusandolo di averla difesa in maniera infedele. Le indagini hanno portato a ribaltare i fatti e mentre, a settembre 2015, la querela sporta da lei è stata archiviata, quella sporta dall’avvocato è finita con la condanna di colei che lo accusava.
Il giudice monocratico del Tribunale di Reggio Calabria, Fabio Lauria, ha infatti condannato Rosa Canale, detta Rosy, 50 anni, a due anni di reclusione per calunnia. Una condanna emessa nonostante la richiesta di assoluzione da parte del pm.
L’ex paladina del “Movimento delle donne di San Luca” è stata condannata, inoltre, a risarcire la parte civile con una cifra da liquidarsi in separata sede. Il giudice ha rigettato la richiesta di provvisionale.
Parte offesa in questo procedimento è l’ex avvocato della Canale, Giancarlo Liberati, difeso dal collega Luca Barillà, che a luglio 2014 è stato accusato dall’ex paladina antimafia, attraverso una denuncia querela, di vari reati «pur nella certezza della sua innocenza. Canale incolpava l’ex avvocato di averla diffamata, di averla difesa in maniera infedele e di averle chiesto soldi con la minaccia di abbandonare la sua difesa nonostante l’ammissione al gratuito patrocinio».
Nella sua querela la Canale – all’epoca indagata nel procedimento “Inganno” (per il quale è stata condannata a 4 anni in primo grado e prosciolta per prescrizione in appello) – affermava di avere inviato una mail a Liberati nella quale, dopo avere lamentato inadempienze professionali nel difenderla, lo sollevava dal mandato. Secondo la Canale, il suo avvocato non le forniva alcuna risposta, ma inviava un fax alla Procura dicendo che lui rimetteva l’incarico poiché si era incrinato il loro rapporto di fiducia. Il legale, a detta della Canale, avrebbe contattato l’Ansa per inoltrare una nota stampa nella quale dichiarava che abbandonava l’incarico perché «non aveva condiviso i ripetuti attacchi della Canale ai magistrati, anche sui social network, nonostante l’avessi tante volte esortata a evitarli». La Canale sostiene che la dichiarazione è falsa, fatta per vendicarsi dall’averlo rimosso dall’incarico e per metterla in cattiva luce davanti ai magistrati dei Reggio Calabria, peggiorando la sua condizione di indagata. La Canale accusava Liberati di averle chiesto una cifra spropositata per presentare ricorso al Riesame, una cifra che lei avrebbe pagato con i suoi risparmi e vendendo i gioielli di famiglia. Accusa poi l’avvocato di non avere mai preso in seria considerazione la pratica della sua difesa.
L’attività di indagine ha però portato il pubblico ministero a chiedere l’archiviazione del procedimento che vedeva indagato il legale per estorsione e patrocinio infedele. Richiesta accolta dal gip a settembre 2015. Il pm, nella richiesta di archiviazione, affermava che «dall’attività di indagine svolta non sono emersi elementi idonei a sostenere proficuamente l’accusa in un eventuale giudizio». Il pm sottolinea, inoltre, come «dai messaggi e dalle mail inviate emerge una piena e totale soddisfazione da parte della querelante. La versione fornita dalla odierna parte offesa è del tutto inattendibile anche nella ricostruzione dei rapporti contabili. Si osserva in particolare che i pagamenti erano effettuati in coincidenza di entusiastici messaggi di ringraziamento; tanto rende evidentemente non sostenibile in giudizio l’accusa di che i soldi siano stati estorti dal Liberati con minaccia di abbandonare la sua difesa. Anche il patrocinio infedele è smentito dai messaggi mandati dalla Canale, al quale non si lamenta mai di essere destinataria di una difesa sciatta, trascurata e disattenta (come invece fatto in querela)». Una visione condivisa dal gip che ha accolto la richiesta sottolineando la «vistosa contraddizione» tra le dichiarazioni della Canale e la ricostruzione dei passaggi processuali della sua storia giudiziaria.Tutt’altra storia l’accusa di calunnia nata nei confronti della Canale che è stata ritenuta attendibile dal giudice monocratico e ha portato all’imputata una condanna a due anni più risarcimento per la parte offesa. (a.truzzolillo@corrierecal.it)
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