LAMEZIA TERME Una riforma che scontenta tutti e i cui aspetti di criticità non hanno mancato di essere sottolineati dai relatori del dibattito aperto sulla riforma dell’ordinamento giudiziario e del processo penale. Una riforma che sta dando vita a una serie di proteste come l’astensione che si è tenuta ieri alla quale hanno aderito il 45% dei magistrati del distretto di Catanzaro, compresi quelli interessati al maxi processo Rinascita, i quali hanno assicurato il servizio pubblico essenziale trattandosi di un processo con detenuti.
Un incontro – voluto dall’Associazione nazionale magistrati sezione distretto di Catanzaro presieduta da Veronica Calcagno – al quale non erano presenti solo le autorità degli uffici giudiziari del Distretto di Catanzaro, – il presidente della Corte d’Appello Domenico Introcaso, il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, il procuratore vicario Vincenzo Capomolla, i magistrati della Dda e della Procura ordinaria di Catanzaro ma anche i familiari delle vittime di mafia. C’erano i coniugi Sara Scarpulla e Francesco Vinci, genitori di Matteo, vittima innocente di mafia, fatto saltare in aria con una autobomba nel 2018; Martino Ceravolo, padre di Filippo ucciso ad appena 19 anni; Eugenio Bonaddio, ferito gravemente in un attentato, nel 1991, nel quale hanno perso la vita due colleghi di lavoro, i netturbini Pasquale Cristiano e Francesco Tramonte. C’era il testimone di giustizia Rocco Mangiardi, colui che per primo a Lamezia ha indicato in un’aula di tribunale i propri estorsori e oggi vive sotto scorta.
Alle vittime di mafia si rivolge l’avvocato Giovanna Fronte che ha trattato il tema degli effetti della riforma sulla tutela delle vittime. «La riforma vi ha buttato fuori dal processo», ha spiegato l’avvocato Fronte. «Noi ci saremmo aspettati di entrare nel processo come parti vere – ha detto l’avvocato – ma in netta violazione con l’articolo 111 della Costituzione (ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale, ndr) la vittima all’interno del processo diventa ancora più debole e ingombrante. Noi ci saremmo aspettati di entrare nel processo come parti vere». Ma così, dice il legale, non sarà e anzi, la ghigliottina taglierà anche le costituzioni di parte civile.
Articolato e chiaro è stato l’intervento del sostituto procuratore della Dda di Catanzaro Paolo Sirleo.
«Il problema della separazione delle funzioni – è stato uno dei primi argomenti trattati dal pm – è importante perché il pubblico ministero non è soltanto la persona che siede allo stesso livello delle altre parti nel corso del dibattimento ma è colui che dirige e conduce le indagini, lavora sostanzialmente da solo. Il giudice interviene per singoli atti ma la responsabilità sulla conduzione delle indagini è del pm. E se l’indagine non viene fatta con un approccio complessivo, cioè con una mentalità da giudice, se manca il far parte di una categoria unitaria, ragionare come ragiona il giudice, o la possibilità di passare dall’altra parte, questo può dar luogo a una visione distorta e parziale. Soprattutto nella parte delle indagini preliminari che sono delicatissime, che possono portare a danni notevoli, è importante che il pm abbia un approccio da giudice».
«La giustizia deve essere al servizio del popolo – ha affermato il magistrato –, noi amministriamo la giustizia in nome del popolo. Difronte a problematiche che riguardano il servizio giustizia quella che dovrebbe essere l’aspettativa dei cittadini è che vi sia una giustizia quanto più possibile giusta, rispondente ai fatti e, soprattutto, celere. Questo è un aspetto fondamentale, è questa la nostra preoccupazione: cercare di dare giustizia il prima possibile. Questo lo si fa mettendo i magistrati in condizione di impiegare il proprio tempo in maniera proficua e potendo lavorare in celerità. E questo lo si fa in che modo: dando risorse, eventualmente diminuendo la massa di reati di cui è costellato il nostro codice e le altre leggi, ottimizzare al meglio le risorse che si hanno – ci sono uffici che hanno un carico basso e altri che sono alla canna del gas –, semplificare quanto più possibile i riti. Purtroppo la riforma sull’ordinamento e la riforma sul processo penale non va in questa direzione. E per perseguire gli standard europei viene introdotto il sistema delle priorità: il procuratore della Repubblica deve redigere ogni quattro anni il documento organizzativo nel quale deve indicare i reati più importanti che devono essere fatti subito, gli altri, quelli non prioritari, verranno fatti se e quando ci sarà tempo, sulla base delle risorse, sul numero e, badiamo bene, sulla base di criteri direttivi che dà il Parlamento. Questo, francamente è un aspetto di dubbia costituzionalità perché va a incidere sull’articolo 112 della Costituzione (il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale, ndr) che è un principio fondamentale perché mette in pratica il fatto che la legge sia uguale per tutti. Viene invece introdotto questo sistema: la priorità sulla base degli affari che il Parlamento, probabilmente andando a turbare quello che è l’equilibrio tra i poteri dello Stato, deve dare questi criteri direttivi».
«Il programma organizzativo deve avere una valutazione da parte del ministro della Giustizia – ha spiegato Sirleo – e questo è un altro aspetto di dubbia costituzionalità perché il ministro della Giustizia deve darci le risorse materiali, le risorse umane, deve dare la benzina alle macchine, i computer ma non può entrare nel merito delle scelte organizzative, cioè quelle giurisdizionali degli uffici giudicanti o requirenti. Questo, invece, viene introdotto». Ma lasciamo perdere gli aspetti costituzionali che sono allarmanti e importanti. Andiamo all’atto pratico: si dice che dato che ci sono tante notizie di reato, tu procuratore della Repubblica devi dettare le linee guida per dare maggiore impulso alle notizie di reato più importanti. E delle altre cosa facciamo? Se e quando avremo tempo le tratteremo. E se non abbiamo tempo alla fine dell’anno che cosa succederà? Verranno accantonate e ci si penserà l’anno prossimo. Ma l’anno prossimo arriveranno altre notizie di reato prioritarie e altre notizie di reato non prioritarie. E quindi, alla fine gli armadi cominceranno ad aumentare. Anziché dare risorse aumenteranno gli armadi».
«Poi succede, però che ogni quattro anni arriva la famigerata ispezione ministeriale che darà la patente di uffici che funzionano a quelli che smaltiscono le carte. Allora il bravo procuratore cosa farà? Si chiamerà i sostituti e dirà che le altre notizie non prioritarie negli armadi andranno eliminate perché arriva l’ispezione. E questa è un’altra riforma che viene introdotta: gli effetti delle ispezioni incidono sulla valutazione del procuratore per la conferma o per ambire a un altro incarico. Quindi deve avere le carte a posto. Quindi come vengono trattate le notizie non prioritarie che stavano negli armadi? Ve lo lascio immaginare. La legge Cartabia sul processo penale introduce un principio: guardate che dovete decidervi e se non decidete sarà il giudice per le indagini preliminari a decidere per voi. Alla fine cosa succederà? Le Procure elimineranno gli armadi, il procuratore si appunterà la medaglietta dell’essere un bravo organizzatore perché ha le carte a posto. Gli unici che ne risentiranno saranno i cittadini cioè quelle persone che stanno dietro quelle carte», ha spiegato il magistrato. «Avremo – ha detto Sirleo – degli uffici burocratizzati, delle catene di montaggio».
«Dall’altra parte la carriera del magistrato si baserà su quelli che sono gli esiti nei gradi successivi del processo. Questo comporterà che il pm, avendo timore che l’esito del processo non sarà favorevole rispetto alla sua prospettazione, deciderà o di chiedere l’archiviazione o di non chiedere la misura cautelare, quando magari le condizioni ci sono. Definire un fascicolo non è produrre un’automobile dove occorre seguire degli standard di fabbrica per cui se la macchina ha un difetto la colpa è del fabbricante. Il processo risente di tante variabili: il teste principale che ritratta, il bravo avvocato che smonta il teste o il giudice la penserà diversamente dal pm. Questo è normale ed è fisiologico. Ma se la carriera del magistrato si baserà sugli esiti dei processi il pubblico ministero opererà una valutazione di convenienza sul mandare a giudizio una persona, chiedere una misura cautelare». «Questa riforma – ha affermato il pm Sirleo – da una parte non risolverà i problemi che i cittadini si attendono e dall’altra parte creerà degli uffici burocratizzati e composti da persone timorose che avranno paura di lavorare».
«Sono molti, anche troppi, i profili di criticità di questa riforma, soprattutto sulla disciplina della prescrizione. La riforma Cartabia ha certamente il merito innegabile di essersi rapportata al problema in maniera sistematica e organica. Ma taluni dei criteri e principi ispiratori della riforma sembrano concepiti da chi calpesta poco le aule d’udienza o comunque da chi non ha il senso pratico delle possibili distorsioni di istituti che pur rientrano nell’ambito del giusto processo». Chi si aspettava che l’intervento dell’avvocato Aldo Ferraro sul ruolo dell’avvocato alla luce della riforma sarebbe stato a favore della legge Cartabia, ha potuto constatare il contrario. Nonostante gli aspetti positivi che pure l’avvocato Ferraro riconosce alla riforma, questi ritiene che la legge si sia persa «nel momento in cui, nonostante il declamato fine di accelerare la celebrazione dei processi e perseguire la ragionevole durata del processo» è stato introdotto il criterio della ragionevole previsione di condanna. «Si è previsto sostanzialmente – ha detto Ferraro – che possano sfociare nell’archiviazione o nella sentenza di non luogo a procedere tutte le notizie di reato che non hanno una ragionevole previsione di condanna e si è previsto addirittura che per i processi a citazione diretta a giudizio, per i quali si è innalzata la pletora dei reati, aumentando la pena edittale per i reati per i quali è prevista la citazione diretta a giudizio, per quei reati si è ingolfato ulteriormente il sistema processuale concependo un’udienza predibattimentale che per giunta deve essere celebrata da un giudice diverso da quello che poi celebrerà il processo. Questo significa che quel giudice diventerà incompatibile per la celebrazione del processo. Allora pensiamo al Tribunale di Lamezia nella cui sezione dibattimentale sono presenti tre magistrati togati e a cosa comporterebbe questa riforma nel momento in cui uno di questi componenti diventasse incompatibile per la celebrazione del successivo procedimento. Questo dà la misura di come sia decontestualizzato, comunque fuori dalla realtà questo come la disciplina della prescrizione».
«Nel momento in cui s’è messo mano all’istituto della prescrizione il problema da analizzare era che il 72% dei processi si prescrivono in fase di indagine quindi arrivano al dibattimento e il giudice non può che dichiararne la prescrizione. Nello stigmatizzare ciò, e quindi prevedere dei correttivi, non ci si è resi conto però che si è ripristinato ciò che, invece, ha provocato delle lungaggini nella celebrazione del processo, ovvero il recupero della precedente attività istruttoria in caso di mutamento della persona fisica del giudicante, previo consenso dell’imputato. Sostanzialmente vi è stato un ritorno al passato». Soluzione «assurdo, inconcepibile, irragionevole» è stato definito da Ferraro l’istituto dell’improcedibilità «cioè quella ghigliottina che non sta bene neppure ai difensori perché se questa riforma ritine che una delle principali aporie del sistema sia l’esistenza della prescrizione, dall’altro lato non ha fatto altro che convalidare quella che era la riforma Bonafede. La riforma Cartabia ha corretto il tiro, il corso della prescrizione cessa definitivamente con la pronuncia della sentenza di primo grado. Il problema è che ha mantenuto la disciplina della prescrizione fino alla sentenza di primo grado, dall’altro ha previsto l’introduzione della improcedibilità, che è una prescrizione processuale, che pre ovvi motivi politici non si poteva chiamare prescrizione. Il legislatore non s’è reso conto che ha introdotto una ghigliottina. Il limite di questa riforma sta nel fatto che se il reato si prescrive entro la sentenza di primo grado, il giudice dichiara la prescrizione e via. Se non si è prescritto, il reato non si prescriverà mai più. Il che significa che questa improcedibilità comporterà la cessazione, l’estinzione del processo per un reato non prescritto. E per un reato che non si prescriverà più. L’irragionevolezza di questa disciplina è che l’improcedibilità travolge quella che è la sentenza impugnata, sia essa di assoluzione che di condanna, con buona pace delle sorti della persona offesa». (a.truzzolillo@corrierecal.it)
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