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Odontoiatria sociale “chiama” le altre eccellenze calabresi in sanità. «È tempo di mettersi in rete»

Attenzione per i disabili. Attese minime. Lotta all’emigrazione sanitaria. Un medico racconta numeri e storia di un reparto “speciale” nato a Cosenza

Pubblicato il: 18/05/2022 – 7:03
di Emiliano Morrone
Odontoiatria sociale “chiama” le altre eccellenze calabresi in sanità. «È tempo di mettersi in rete»

COSENZA Antonino Alessandro Pellegrino, più noto come Ninni, è un dirigente medico del reparto di Odontoiatria sociale e Chirurgia maxillo-facciale dell’ospedale pubblico di Cosenza, che, nato su iniziativa della dottoressa Simona Loizzo, oggi consigliere regionale della Calabria, in particolare si occupa di pazienti disabili, non autosufficienti o più svantaggiati. Chirurgo nell’ambito dell’Otorinolaringoiatria, Pellegrino ha lavorato tra l’altro nel Nord. Per quanto giovane, vanta una notevole esperienza professionale. Originario della provincia di Reggio Calabria, ha voluto rimanere in Calabria e stabilirsi a Cosenza, per dedicarsi, insieme ai suoi colleghi di reparto, alla cura di persone fragili. Con lui parliamo oggi del reparto in cui lavora da anni, che ai disabili garantisce una corsia preferenziale, senza raccomandazioni.

Antonino Alessandro Pellegrino

Qui si ha la sensazione di essere in una specie di corpo sganciato dal resto dell’ospedale. C’è un ambiente molto più tranquillo. Come nasce questo reparto? Di che cosa vi occupate?
«Il reparto in cui opero nasce dall’intuizione della dottoressa Simona Loizzo, che, amalgamando specialità operanti in distretti confinati, ha creato una sinergia professionale che ha ridotto l’emigrazione sanitaria. Il reparto è gestito con una regola di base: l’attenzione e l’ascolto del paziente hanno il ruolo dominante. Con il rispetto degli orari di trattamento e grazie all’efficienza del personale di supporto all’Unità operativa complessa, riusciamo a ottenere che i pazienti non debbano attendere. Perciò nella nostra confortevole sala d’attesa ne stazionano pochi e i corridoi e gli spazi comuni sono sempre in ordine. Ci tengo a sottolineare che diamo priorità ai pazienti non autosufficienti.
Collaboriamo attivamente con il resto dei reparti dell’ospedale. In particolare siamo attivi con un Pdta (Percorso diagnostico terapeutico), assieme alle Unità complesse di Ematologia e Oncologia, nella prevenzione della osteonecrosi della mandibola (patologia molto invalidante in pazienti con fragilità oncologica), con risultati entusiasmanti.
Trattiamo inoltre le patologie del distretto maxillo-facciale, patologia neoformativa, malformativa e traumatica, con il risultato di azzerare lo spostamento del paziente con trauma del massiccio facciale verso altri ospedali o fuori regione.
Eseguiamo oltre 500 interventi all’anno e totalizziamo circa 6.000 prestazioni ambulatoriali annue».

Un discorso a parte merita l’Odontoiatria sociale. A chi si rivolge, in che modo interviene, quali risultati ha prodotto in ambito sociale, oltre che sanitario?
«Svolgere l’attività in questo reparto mi ha permesso oltre che una crescita professionale anche e soprattutto una crescita umana. Ci si confronta quotidianamente con le disabilità, ambito in cui c’è ancora molto lavoro da fare.
Mi preme sottolineare che la nostra Unità già dal 2010 è referente del progetto Dama (Disabled Assistent Medical Access, nda), che, centrato sull’assistenza ai disabili, opera a livello nazionale. Nel 2018 il Segretariato generale del ministero della Salute ha proposto alla Conferenza Stato-Regioni il Dama come modello di gestione ospedaliera integrata della popolazione disabile a livello nazionale. Esso prevede un modello di accoglienza e assistenza alla disabilità: coinvolgendo un’équipe multidisciplinare capace di gestire direttamente le problematiche mediche e chirurgiche per il paziente disabile; predisponendo percorsi diagnostico terapeutici centrati sulla persona e coordinando tutta l’attività degli specialisti e dei servizi coinvolti. Le modalità di funzionamento organizzativo del Dama prevedono che il disabile effettui, come previsto dalla Carta dei servizi ospedalieri per il paziente disabile, più prestazioni nello stesso segmento orario, così limitando al massimo lo spostamento del paziente e dei caregiver all’interno delle mura ospedaliere, possibilmente nello stesso ambulatorio».

Questo aspetto è da raccontare e divulgare. C’è un caso che le subito viene in mente, a titolo di esempio?
«Sì, quello di una paziente proveniente da fuori regione con deficit cognitivo sindromico, cardiopatia e laringotracheomalacia (condizione patologica di eccessiva lassità delle vie aeree, con rischio di collasso delle stesse). I genitori erano disperati, poiché non trovavano ospedale con personale disposto a “rischiare” il trattamento con intubazione orotracheale, indispensabile per eseguire le cure. Quando la paziente è giunta alla nostra osservazione abbiamo praticato, in accordo con il dottore Pino Pasqua, direttore dell’Unità operativa complessa di Anestesia e Rianimazione, un protocollo in assoluta sicurezza di esplorazione delle vie aeree superiori, con successiva intubazione orotracheale e quindi il trattamento odontoiatrico. Chiaramente le lascio immaginare la soddisfazione da parte dei genitori, con cui si è ormai instaurato un bellissimo rapporto di amicizia, tanto da indurli a continuare le cure da noi, nonostante i chilometri da percorrere.
Inoltre, le cure odontoiatriche sono accessibili tramite il progetto di Odontoiatria sociale dedicato a chi ha un Isee inferiore a 10.000 euro, oltre che ai pazienti con patologie invalidanti e vulnerabili. Per fare un esempio, trattiamo con successo bambini che necessitano di cure ortodontiche e cure conservative. Ancora, abbiamo inoltre un servizio di protesi sociale nei casi di edentulia (mancanza di elementi dentali) parziale e totale».

Ho parlato con vostri pazienti, che manifestano soddisfazione. Ci può dare qualche altro dettaglio del vostro lavoro quotidiano? 
«Il nostro lavoro è svolto da un’équipe di medici, infermieri e personale ausiliario che ogni giorno dà l’anima per il reparto; spesso mettendo da parte la propria vita privata. Ci riuniamo spesso e discutiamo a fondo delle delle criticità. Pratichiamo ascolto e compartecipazione rispetto all’andamento del reparto. Inoltre operiamo con un’équipe di anestesisti rianimatori sempre all’altezza delle molteplici problematiche che i pazienti con disabilità grave possono presentare. Ciò che soddisfa molto è, appunto, lavorare con questo tipo di personale». 

Siete una realtà a parte, nell’ambito della sanità calabrese?
«Sicuramente siamo unici. I pazienti giungono da noi da tutta la Calabria, ma anche da fuori. Ho avuto la possibilità di lavorare presso aziende di altre regioni e non solo. Le assicuro che il nostro servizio non è affatto diffuso altrove».

Perché c’è sfiducia nei confronti della sanità pubblica della Calabria? È un atteggiamento alimentato da un’informazione che racconta soltanto ciò che non va?
«È giusto che l’informazione ponga l’accento su ciò che non va. Un’informazione obiettiva e completa stimola a crescere e determina un miglioramento professionale e assistenziale. Nella sanità calabrese ci sono eccellenze che magari non emergono come dovrebbero, però. Nel futuro vedo la possibilità di fare rete tra queste realtà».

Che cosa si potrebbe migliorare in questo reparto e in che modo?
«Bisogna assolutamente insistere nel percorso intrapreso dalla dottoressa Loizzo. Occorre dunque ampliare le possibilità di trattamento dei pazienti con disabilità, cercando di soddisfare appieno le esigenze diagnostiche e terapeutiche di questi pazienti».

Che cosa si dovrebbe fare perché la sanità calabrese possa dare buone risposte in tutto il territorio e ridurre l’emigrazione dei pazienti verso altre regioni?
«Dopo più di un decennio di Piano di rientro, è giunto il momento di investire in sanità: sia in figure professionali che in risorse tecnologiche. La storia ci ha insegnato che la politica dei tagli ha soltanto aumentato il divario della nostra regione dal resto dell’Italia». (redazione@corrierecal.it)

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