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depurazione e inquinamento

Processo “Cloaca Maxima”, i dubbi dell’accusa. Il bypass ossidativo e l’azoto ammoniacale

Il pm Cozzolino, in aula, cerca di fare chiarezza sulle cause legate ai presunti sversamenti illeciti nel fiume Crati

Pubblicato il: 20/05/2022 – 15:36
di Fabio Benincasa
Processo “Cloaca Maxima”, i dubbi dell’accusa. Il bypass ossidativo e l’azoto ammoniacale

COSENZA Nuova udienza dinanzi al giudice del Tribunale di Cosenza, Stefania Antico, del processo scaturito dall’inchiesta “Cloaca Maxima“. L’indagine avviata dalla Procura della Repubblica di Cosenza ed affidata ai carabinieri forestali per dare seguito al consistente numero di denunce presentate dai cittadini residenti nelle aree contigue all’impianto di depurazione del fiume Crati. Il Pubblico ministero, Giuseppe Cozzolino ha effettuato l’esame di un testimone. A dar conto dell’attività svolta, negli anni a cavallo dal 2016 al 2017, è stato un (ex) dipendente del Consorzio Valle Creati, impiegato nell’ufficio tecnico. «Attraverso il consorzio, abbiamo gestito una serie di servizi per conto dei comuni: raccolta di rifiuti, gestione impianti di depurazione e discariche».

L’autocontrollo e i prelievi di Arpacal

Secondo l’accusa, gli imputati: Vincenzo Cerrone, Dionigi Fiorita, Giovanni Provenzano, Annunziato Tenuta, Rosario Volpentesta e Eugenio Valentini avrebbero generato un deterioramento significativo delle acque del fiume Crati e del relativo ecosistema, alterandolo sotto l’aspetto chimico, fisico, olfattivo e visivo. Si parla, dunque, di sversamenti nel fiume Crati attraverso l’apertura di un bypass posto a monte della sezione ossidativa del depuratore. Nel corso d’acqua sarebbero finiti liquami non completamente depurati poiché sottoposti alla sola fase di sedimentazione primaria. Il cuore del problema è la depurazione a cui si lega la salute dei cittadini. Il teste sollecitato dalla domande del pm, ricorda poco di quegli anni. Nell’azienda, si occupava della gestione del contratto, dei pagamenti e delle fatture ma ammette di essersi recato nei pressi del depuratore per alcune verifiche legate alla propria mansione. «Bisognava garantire 24 prelievi annuali per quanto attiene le analisi di autocontrollo – sostiene il teste – mentre i prelievi (a sorpresa) dell’Arpacal venivano effettuati sei volte l’anno».

I parametri dell’azoto ammoniacale

«Generalmente le analisi di autocontrollo erano in tabella, ovvero rispettavano i parametri imposti», sostiene il teste. Su Arpacal, invece, «sarà capitato in due o tre occasioni di avere analisi con alcuni un superamento dei limiti dell’azoto ammoniacale». Proprio su quest’ultima considerazione si focalizza l’attenzione del pm Cozzolino. Intenzionato a capire se e in che modo, l’eccesso di azoto ammoniacale abbia o meno influenzato il processo depurativo o alterato alcuni parametri. «L’alterazione – precisa l’ingegnere chiamato a testimoniare – veniva influenzata dagli scarichi anomali che sfuggivano al controllo del gestore dell’impianto. Quando parlo di scarichi anomali mi riferisco alle attività non autorizzate come quella industriale, ad esempio. Noi trattiamo solo reflui civili e quindi quelli industriali possono influenzare i dati». «In una occasione – ammette il teste – ho visto le analisi effettuate tramite prelievi in ingresso e l’azoto ammoniacale risulta mediamente di poco superiore al limite». Anche se «al termine del ciclo depurativo – precisa – veniva diluito e dunque il parametro tornava nella norma».

Il «bypass ossidativo»

«E’ capitato di visitare l’impianto, ma non per verificarne la funzionalità. Un bypass in ingresso è stato installato per salvaguardare la struttura in caso di portata esagerata. E’ presente inoltre un bypass ossidativo, ma quando ho effettuato i sopralluoghi non ho constatato nessun blocco delle attività o registrato attività non corrette», confessa il teste. Il pm, più volte, si è visto “costretto” a sollecitare la memoria dell’ingegnere attraverso la lettura delle dichiarazioni rese in fase di interrogatorio. «L’impianto ha sempre sofferto di un eccesso di carico – ammette il testimone – ci sono stati problemi di manutenzione degli impianti». «Ha ricevuto segnalazioni della Geko sulla depurazione e sul possibile inquinamento del fiume?» – chiede il pm. «No», risponde il teste. Il pubblico ministero poi pone l’accento sulla presenza del «bypass ossidativo» installato «a monte dell’impianto di sollevamento». «E’ un elemento di sicurezza – sostiene il teste – entra in funzione solo in caso di completo allagamento, in caso di anomalie nel sollevamento». In caso di blackout elettrico – l’impianto – come confermato dal teste era dotato di strumentazione a gasolio in grado di supportare la mancata tensione dell’energia. Nel caso in cui a bloccarsi fosse stata una pompa di sollevamento, invece, sarebbe giunta una segnalazione al personale «sempre presente e costante nel presidiare l’impianto».
Nel procedimento si sono costituite parti civili le associazioni Fare Ambiente laboratorio Verde di Cosenza, rappresentata dall’avvocato Anita Frugiuele, il Wwf con l’avvocato Fabio Spinelli, Lagambiente con l’avvocato Rodolfo D’Ambrosio, il Consorzio Valle Crati con il legale Erika Rodighiero. Del collegio difensivo fanno parte gli avvocati: Filippo Cinnante, Massimiliano De Rose e Francesco Carotenuto.

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