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Il reportage

San Giovanni in Fiore, viaggio nell’ospedale (ancora) monco

I 2 chirurghi e l’unico oncologo costretti ai turni anche al Pronto soccorso. E a Medicina solo la metà dei posti attivi. «Rischi per i pazienti»

Pubblicato il: 20/05/2022 – 19:02
di Emiliano Morrone
San Giovanni in Fiore, viaggio nell’ospedale (ancora) monco

SAN GIOVANNI IN FIORE I due chirurghi nei turni del Pronto soccorso e l’oncologo costretto all’ubiquità, che si divide tra gli stessi locali dell’emergenza, l’ambulatorio delle chemioterapie e il reparto di Medicina, da anni rimasto con due soli dottori. «La normativa europea sugli orari di lavoro va a farsi strabenedire», racconta un sanitario in camice, che vuole rimanere anonimo per paura di sanzioni disciplinari. In giro non c’è quasi nessuno, sale una sensazione di vuoto.
L’ospedale di San Giovanni in Fiore si raggiunge da un ingresso centrale ma per entrare si gira da dietro; «forse per allenamento, magari per dispetto», ironizza una signora, che ha rabbia e fretta insieme. Il piazzale interno è pieno per due terzi: di auto parcheggiate ai lati del Laboratorio analisi, cioè il cuore dell’attività mattutina.
Nel presidio ci sono interminati spazi, sovrumani silenzi e profondissima quiete, ma l’Asp di Cosenza sopporta ancora affitti per alcune sedi locali dell’assistenza territoriale. In ospedale è rimasta la Medicina, ma con 10 posti letto sui 20 previsti, a causa della grave carenza di medici.

Il pronto soccorso di San Giovanni in Fiore


Inoltre sopravvive un Pronto soccorso depotenziato da un decennio: che non conta anestesisti propri ma ne ha diversi, provenienti da Crotone, a prestazioni aggiuntive, dicono «da 800 euro a notte»; che funziona in virtù di una disposizione di servizio dello scorso 4 aprile, la quale obbliga ai turni più medici di altre unità, le poche ancora attive. L’Asp di Cosenza non riesce a reperire due o tre medici fissi per il Pronto soccorso e altrettanti per la Medicina. Ma un veterano dell’ospedale sangiovannese accusa che «non c’è la volontà dei dirigenti aziendali, che promettono, rinviano e infine dimenticano, mortificando le professionalità esistenti, diventate tappabuchi permanenti».
Un utente rincara la dose: «Il problema arriverà fino all’estate, quando gli accessi si moltiplicheranno, e proseguirà ben oltre. È assurdo che dei chirurghi, un oncologo e altri specialisti debbano coprire i turni del Pronto soccorso. È un rischio enorme, in primo luogo per i pazienti, mentre all’Asp di Cosenza non muovono un dito e al dipartimento di Emergenza-Urgenza dello Spoke di Paola-Cetraro ci voltano le spalle e non mandano un solo medico del loro organico».
In sostanza quella disposizione finisce per ridurre l’assistenza ai pazienti oncologici e per bloccare le attività chirurgiche, rispetto a cui la direzione generale dell’Asp aveva preso impegni – finora disattesi – di incentivazione e di aumento del personale.

«Siamo tornati indietro di quarant’anni»

«Siamo tornati indietro di quarant’anni, quando in Pronto soccorso – si sfoga un dipendente, di passaggio, del distretto sanitario – mancavano specialisti dell’emergenza/urgenza e si sopperiva per come possibile, alla buona».
Peraltro «quella disposizione – tuona un sanitario – è temporanea ed è già scaduta, senza che sia stata trovata alcuna soluzione», malgrado la comparsa, nella mattinata odierna, «di Ercole Cosentino, nuovo direttore sanitario dello Spoke di Paola-Cetraro», da cui dipende l’ospedale di San Giovanni in Fiore.
Eppure l’Asp di Cosenza ha ricevuto segnalazioni, proposte e richieste puntuali da parte dell’amministrazione comunale, cui aveva garantito riscontri, per esempio tramite il direttore del dipartimento aziendale di Chirurgia, Massimo Candela.

Cambio al vertice e speranze

L’ingresso dell’ospedale di San Giovanni in Fiore

Da qualche giorno l’Asp di Cosenza ha un nuovo commissario: si chiama Antonello Graziano e ha sostituito Vincenzo La Regina, nominato alla guida del policlinico universitario di Catanzaro. Forse il nuovo vertice dell’azienda sanitaria non sa che da lustri i servizi sanitari di San Giovanni in Fiore sono stati trasformati in una sorta di “Sparta del XXI secolo”: i cittadini sono stati educati e abituati al disagio, magari per fortificare lo spirito. Una consuetudine su tutte: chi vuole ricevere le analisi nel laboratorio ospedaliero deve percorrere qualche chilometro, prima di arrivare nella parte alta della città per ottenere il timbro, il visto sulla ricevuta del ticket. Poi gli tocca tornare indietro, sottoporsi al prelievo in ospedale e in uno esibire la prova dell’avvenuto pagamento.
Qui la transizione digitale è piuttosto lontana negli ambienti sanitari pubblici, forse per mantenere un’atmosfera gioachimita, un fascino medievale o un contatto più diretto tra utenza ed erogatori di prestazioni. Tra code e attese burocratiche, la frequente mancanza di collegamento a Internet e il dominio del cartaceo passato a mano, gli strumenti della modernità tecnologica sembrano una specie di gravame, di fastidio, di disturbo, finanche di peccato. È una realtà che racconta di tempi burocratici quieti, dilatati a oltranza rispetto alle esigenze del contemporaneo, in cui l’accelerazione del tempo è la costante, il dramma, il segnale di un produttivismo spinto che non ha ancora raggiunto questo luogo della regione.
Il commissario alla Sanità calabrese, Roberto Occhiuto, ha completato la pratica delle strutture di assistenza territoriale da finanziare con i fondi del Pnrr, quella del monitoraggio dei conti e l’altra della sostituzione/rotazione dei commissari aziendali. Ora avrà modo di verificare il mancato rispetto delle dotazioni di personale previste dal decreto vigente sulla rete dell’assistenza ospedaliera. Che all’ospedale di San Giovanni in Fiore, come negli altri presìdi montani della Calabria, ha messo in crisi l’assistenza di base e allontanato la possibilità di dare risposte pronte, adeguate, complete. (redazione@corrierecal.it)

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