LAMEZIA TERME Percorrendo gli spazi dell’ex carcere di Lamezia Terme, è ancora possibile cogliere interamente la suggestione di un luogo mistico, un tempo animato dal culto, la vita, gli spazi verdeggianti, un pozzo d’acqua e le preghiere, poi trasformato in un luogo di sofferenza, contenitore di persone recluse, private dalla libertà e chiamate a pagare il proprio debito con la giustizia e la società. È da questo aspetto che continua il nostro viaggio nello storico edificio che nasce nel cuore di Nicastro, a Lamezia Terme, e sopravvive nel silenzio, cullato nella vita che gli scorre attorno.
A guidarci è ancora l’assessore alla Cultura del Comune di Lamezia, Giorgia Gargano che ci spiega come «le celle che, fino al 2015 erano destinate alla detenzione, erano in realtà le celle in cui dormivano i frati francescani». «Una delle ragioni per le quali questo luogo merita attenzione da parte di tutta la città perché è ancora un polo sul piano architettonico, ma sul piano della vitalità c’è un silenzio che ci spinge quasi fuori dalla città. È un silenzio forse spirituale ma che magari potremmo interpretare come un richiamo, una richiesta di attenzione, una denuncia. Qui dentro l’aria e la natura sembrano ferme, tutto appare ingessato».
L’edificio, dopo il 2015, è passato prima al demanio poi al segretariato del ministero della Cultura che ha già investito finanziamento che presto prenderanno forma per il recupero. «La destinazione è in parte a deposito di archivio di Stato, in parte a ricovero delle opere d’arte che, in caso di calamità, devono essere tutte convogliate in un luogo e Lamezia, per la sua centralità, si presta molto bene a questa necessità».
Ma, come spiega ancora Gargano, l’ex carcere di Lamezia è tuttora un luogo che, sul piano strutturale, ha un’attrattività enorme, «delle potenzialità notevoli per la sua centralità e perché a Lamezia, come sappiamo, ad esempio sono rimasti pochissimi i luoghi che si possono adibire a mostre e incontri di ampio respiro e destinati a molte persone». «Così come Salvatore Patamia che è il direttore del Segretariato del Ministero della Cultura ci ha consentito con grande generosità di aprire questi spazi in occasione delle giornate di primavere del Fai, speriamo di poter proporre altre attività».
Dunque ripartire dal passato per proiettare la struttura nel futuro, che sia più prossimo possibile e senza assomigliare ad una utopia irrealizzabile. Le idee non mancano, ma servono, oltre ai finanziamenti, tanto impegno e visione d’insieme. «Speriamo però di poter proporre iniziative che abbiano una duplice valenza: da un lato usare questo spazio interessantissimo sul piano delle potenzialità, enorme e ben suddiviso e che si presta ad eventi di grande impatto, dall’altra l’idea è di restituire uno spazio così vuoto e importante alla cittadinanza che ne deve prendere atto e possesso, diventandone consapevole». (redazione@corrierecal.it)
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