LAMEZIA TERME Una misura di sicurezza patrimoniale, ordinata dai giudici in caso di condanna, ma non solo. La confisca dei beni vale molto di più e nel corso degli ultimi anni ha rappresentato un fattore spesso decisivo per la lotta alla criminalità organizzata, dalla duplice valenza: da una parte c’è quella economica e finanziaria, dall’altra quella prettamente sociale. Già perché se nel primo caso si colpiscono quelli che sono i frutti e i profitti degli affari dei clan, nel secondo invece, quando accade, si può restituire un bene ai cittadini attraverso enti che possono così “convertirlo” per funzionalità sociali e collettive.
Un sistema ben collaudato che, al netto delle difficoltà normative e quelle legate alla disponibilità di risorse economiche, gode di ottimi esempi che rappresentano allo stato attuale un vero e proprio modello da seguire e, se possibile, replicare. Quello più eclatante nella nostra regione arriva da Lamezia Terme e dalla Comunità Progetto Sud, realtà guidata da don Giacomo Panizza. Ed è stato proprio a lui a parlarne questa mattina al teatro “Grandinetti”, nel corso di un incontro promosso dal Distretto 2102 Rotary Calabria, presieduto dal Governatore Fernando Amendola, e che ha visto la presenza di molti addetti ai lavori, dal sindaco di Lamezia Terme, Paolo Mascaro, al sostituto procuratore di Catanzaro, Domenico Guarascio. Ma è proprio don Giacomo Panizza ad aver ricevuto la candidatura quale esempio di eccellenza nell’utilizzo di beni confiscati e presidio di legalità in un territorio particolarmente delicato quale quello lametino.
«Per noi – spiega don Panizza ai microfoni del Corriere della Calabria – è un incontro particolarmente significativo perché la nostra esperienza nella gestione di una casa confiscata alla ‘ndrangheta, anche pericolosa, ha portato invece ad avere in quel luogo attività dove non c’era nulla, era inesistente, noi invece l’abbiamo aggiustata, ricostruita». «Oggi – ricorda don Panizza – abbiamo 22 dipendenti che lavorano per un giro economico di oltre un milione di euro. Perciò l’utilizzo dei beni confiscati è anche un utilizzo economico, ma bisogna farlo insieme con il Comune, con la società, anche e soprattutto con le persone che ne hanno bisogno e i giovani». «Nella casa che utilizziamo noi – spiega – passa di tutto tranne l’illegalità, il punto è questo. Il nostro esempio richiama la collaborazione tra istituzioni e società, tra Stato e popolazione. Per cambiare le cose, per battere la criminalità e la ‘ndrangheta non sarà mai sufficiente neanche l’esercito, la repressione e non basta nemmeno la società a mani nude fin quando nella nostra Repubblica fin quando chi governa e chi è governato non lavorerà insieme».
Tra la confisca dei beni alla criminalità e la restituzione alla collettività ci sono però norme complesse, meccanismi burocratici che ne rallentano le procedure di assegnazione. Un meccanismo troppo spesso inceppato e che ostacola il lavoro della magistratura. «I problemi sono tanti – conferma ai nostri microfoni il Sostituto Procuratore della Repubblica di Catanzaro Domenico Guarascio – perché la gestione dei beni confiscati presenta problemi spesso di natura economica, altrettanto spesso di natura sociale, al di là del fatto che l’azione di contrasto alle mafie arriva a prendere beni che spesso conservano grosse difficoltà di gestione, hanno soprattutto in tema aziendale diverse problematiche, sono sprovviste della liquidità necessaria per poter pagare i dipendenti e altrettanto spesso hanno problemi di natura fiscale ed erariale. Bisogna quindi che le istituzioni, la magistratura ma anche gli enti locali, facciano fronte comune per la gestione di questi beni». «La legge – ricorda Guarascio – prevede già una sorta di affidamento se possiamo dire quasi “automatico” ai Comuni per gli immobili confiscati, per il tramite ovviamente dell’agenzia dei beni confiscati, ma questo non basta perché i problemi di gestione economica e sociale in un territorio già privo di risorse rende a volte l’azione di contrasto problematica mentre serve intervenire, confiscare, ma far sì che questi beni abbiano un reale sviluppo economico e sociale per la comunità a cui vengono restituiti». «Il problema, per quanto mi riguarda, non è spesso normativo quanto le risorse disponibili da mettere in campo perché le leggi, che comunque sono tante, funzionino realmente». (redazione@corrierecal.it)
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