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«Che dice la ‘ndrangheta di Vibo?». I rapporti (tesi) tra i clan e il legame con il Crimine di Reggio

I pentiti raccontano la nascita del “locale” e gli equilibri sottili per evitare le faide. Le parole del mammasantissima Oppedisano: «Il Vibonese ha sempre fatto capo qua»

Pubblicato il: 22/05/2022 – 7:05
«Che dice la ‘ndrangheta di Vibo?». I rapporti (tesi) tra i clan e il legame con il Crimine di Reggio

Mommo: «Che si dice? La ‘ndrangheta che dice?»
Enzo: «So di ‘ndrangheta io…»
Mommo: «La ‘ndrangheta»
Enzo: «… morto di fame io»
Mommo: «La ‘ndrangheta di Vibo che dice?»
Enzo: «Ahh!»
Mommo: «Eh sì, qua il clan di Vibo hanno voluto feri… hanno voluto punire a uno»
Enzo: «Hanno voluto?»
Mommo: «Punire a uno»
Enzo: «Ma il bello che… la domenica passata era… che lui era all’ospedale… all’ora io l’ho visto sulla carrozzella… coglione! Allora c’erano i vigili, no? E questo era sulla carrozzella… avevo visto che aveva una macchia di sangue qua… e i piedi aveva… e gli ho detto… e che ti è successo? Mi risponde il vigile e mi ha detto “lo hanno sparato”… io come un coglione… e perché?»
Nando: «Rubava, penso» 
Mommo: «E beh… i Lo Bianco a Vibo hanno fatto…»
Nando: «Ma chi è? Quello alto è?»
Enzo: «Eh?»
Nando: «Quello ricciolino?»
Mommo: «Uno scemo… no… che ruba nelle cappelle»
Enzo: «Un ladro»
Nando: «Ahh»
Mommo: «Ruba nelle cappelle». E ma qua… più dei “Bianchi” chi cazzo viene»
Enzo: «Lo Bianco?»
Mommo: «Eh! Questo clan… qua a Vibo! (ride) Più di loro chi ha potuto sparare?».

I legami mafiosi con il Reggino. Il “mammasantissima”: «Il Vibonese ha sempre fatto capo qua» 

Questa conversazione chiude uno dei paragrafi dedicati dalle motivazioni della sentenza Rinascita Scott in rito abbreviato. Il paragrafo descrive le ramificazioni della ‘ndrangheta nella città di Vibo Valentia. Uno dei protagonisti del dialogo è Domenico Macrì, considerato uno dei vertici della cosca Pardea-Ranisi: è il 4 febbraio del 2018 e si parla del recente ferimento di un custode del cimitero di Vibo, che Macri «finge di ritenere riconducibile alla cosca Lo Bianco (mentre ne è lui stesso il vero responsabile), con la quale – occorre precisare – i rapporti sono ormai deteriorati tanto da aver costituito con il suo gruppo un “corpo rivale”». Altri passaggi della sentenza sono dedicati allo scontro tra clan. Nella parte introduttiva, però, il gup sottolinea che a Vibo «insistono storicamente numerose ‘ndrine direttamente o indirettamente riconducibili all’ortodossia ‘ndranghetista del Crimine di Polsi». Tesi supportata da numerosi pentiti; i riscontri alla loro attendibilità sono «poderosi». Basti ricordare «le parole del capo Crimine di tutta la ‘ndrangheta reggina don Mico Oppedisano (foto sopra)» per il quale «il Vibonese ha sempre fatto capo qua». 

La storia del “locale” di Vibo: il viaggio a Rosarno e l’incontro sfumato con il boss Commisso

Bartolomeo Arena, uno dei pentiti più recenti, racconta ai magistrati della Dda di Catanzaro i «prodromi e la successiva costituzione del cosiddetto “Buon Ordine” in cui si sono fuse, per alcuni anni, le principali consorterie della città di Vibo Valentia, ossia i Lo Bianco-Barca e i cosiddetti Ranisi». 

Domenico Oppedisano

«Giungiamo quindi – dice Arena in un verbale del 18 ottobre 2019 – al periodo dell’operazione “Nuova Alba”, periodo in cui intendevamo formare un Locale a Vibo Valentia, quindi i maggiorenti del mio gruppo (in particolare mio zio Domenico Camillò), con Carmelo Lo Bianco decisero di andare a trovare Domenico Oppedisano a Rosarno. L’unico in grado di realizzare un’operazione del genere era mio zio Domenico Camillò che aveva delle doti di ‘ndrangheta elevate ed era conosciuto e rispettato a Polsi. Domenico Oppedisano ci portò da Rocco Aquino A Gioiosa e con questi raggiungemmo anche il fratello Peppe e mangiammo un gelato in un bar; gli Aquino ci consigliarono di parlarne con Giuseppe Commisso “il mastro”. Ci recammo a parlare con lui presso la lavanderia “Ape Green” (a Siderno, ndr), tuttavia non lo trovammo, perché era dal fratello a colloquio mi pare a Torino. Il tutto fu rimandato. Poi, a seguito degli arresti dell’operazione “Nuova Alba”, saltò la formazione di questo Locale a Vibo Valentia”». 

Come nasce il “locale” nel 2012. Gli equilibri fragili tra i Lo Bianco-Barba e i Pardea-Ranisi

Arena parla dello zio Mimmo Camillò (in realtà primo cugino di suo padre) come «colui il quale ha le doti più elevate nella provincia di Vibo Valentia, in virtù dei rapporti che intrattiene con gli esponenti di vertice della Locale di Rosamo, quali Umberto Bellocco e don Mico Oppedisano». Poi racconta del secondo tentativo di formare il locale a Vibo nel 2011. Un tentativo in cui Camillò «non era convinto» ma soprattutto «non voleva assumere questa iniziativa senza coinvolgere i Lo Bianco». Il locale viene formato nel 2012. A quel tempo «Enzo Barba assunse la carica di capo società in quanto il medesimo ha una dote altissima (ritengo superiore al Padrino) in quanto conferitagli già precedentemente alla nuova formazione da mio zio Mimmo Camillò (per come mi raccontò quest’ultimo), nell’occasione in cui Barba si trovava ai domiciliari a seguito dell’operazione “Nuova Alba”». In un interrogatorio del 30 ottobre 2019, Arena spiega come si erano mossi i clan di Vibo per mantenere gli equilibri. «Quando nella nuova Locale c’erano ancora soltanto i Panisi, le cariche principali erano le seguenti: Domenico Camillò era capo società, Raffaele Franzè era il Contabile. Con l’ingresso dei Lo Bianco-Barba, per dare rappresentanza ad entrambe le anime della nuova Locale, come già detto, si assegnò la carica di capo società a Vincenzo Barba e quella di contabile ad Antonio Macrì. Con mio zio Domenico Camillò e Raffaele Franzè che a quel punto si misero da parte mantenendo il ruolo di autorevoli.consiglieri con una dote molto elevata». È un continuo lavorio diplomatico quello che avviene nella città di Vibo. Accade per preservare gli equilibri ed evitare che i contrasti deflagrino in guerre di mafia. Ma le trame imbastite si strappano spesso. Gli stessi Lo Bianco, divenuti la ‘ndrina predominante dopo il declino dei Pardea Ranisi aprono una sanguinosa faida con la cosca Fiarè-Razionale-Gasparro quando provano a espandersi verso il territorio di San Gregorio d’Ippona. Servirà l’intervento dei Mancuso per placare gli animi e tornare a una pace (per quanto armata). Il rischio di contrasti nel territorio è all’ordine del giorno. Anche per il banale conferimento di una “dote” di ‘ndrangheta. (ppp)
(1. Continua)

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