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La ricorrenza

Bombardieri: «Falcone non cercava consenso ma la fiducia»

Il procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, il questore Megale e il prefetto Mariani alla manifestazione per i 30 anni dalla strage di Capaci

Pubblicato il: 23/05/2022 – 14:50

REGGIO CALABRIA «In quegli anni molti hanno attaccato Falcone e hanno attaccato Borsellino. Li attaccavano perché ritenevano che fossero alla ricerca del consenso. Sbagliavano come sbaglia oggi chi accusa la magistratura, anche nel nostro territorio, di cercare consenso. È una ricerca non di consenso ma di fiducia. Fiducia contro la diffidenza, contro la rassegnazione, contro qualcosa che si impadronisce di noi e non ci consente di contrastare e di reagire. Non ci può essere contrasto efficace alla criminalità organizzata, alla ‘ndrangheta, all’illegalità tutta, senza fiducia nelle istituzioni». Lo ha detto il procuratore della Repubblica di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri durante la manifestazione a Piazza Castello per i 30 anni dalla strage di Capaci. Si è trattato di un’iniziativa, organizzata dalla Questura di Reggio che ha piantato un arbusto in memoria dei giudici Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e delle loro scorte. In loro onore, inoltre, la Polizia ha posizionato una targa in un’aiuola della piazza per ricordare l’«esempio eterno di coraggiosa e consapevole coerenza». Parlando di Falcone, il procuratore di Reggio Calabria ha ribadito che «oggi è importante la memoria. Oggi ci sono mafie diverse, più forti, che richiedono un sacrificio pari allo Stato. Ci vuole consapevolezza che non è possibile abbassare il livello di contrasto. All’estrema pericolosità della ‘ndrangheta dobbiamo rispondere con nuovi investimenti, con nuovi impegni senza perdere la fiducia nelle istituzioni. Abbiamo delle ispirazioni e quelle ispirazioni sono Falcone, Borsellino, Morvillo e gli uomini delle loro scorte».
«La memoria di persone come Falcone e Borsellino continua ad accompagnarci – ha affermato il questore Bruno Megale -. Il loro sacrificio è, e deve essere, sia esempio che monito nel nostro lavoro giorno dopo giorno, rendendoci consapevoli che hanno vissuto e lottato per realizzare e sollecitare un impegno operativo, concreto e ininterrotto contro ogni presenza e attività mafiosa». E se per il prefetto Massimo Mariani, «Giovanni Falcone ci deve ricordare il meglio di cui è stato capace questo Paese», il presidente della Corte d’Appello Luciano Gerardis ha sottolineato «quanto il lavoro e il metodo di lavoro di Falcone ha contribuito a debellare la mafia siciliana. Tutte le mafie, compresa la nostra, hanno subito colpi importanti seguendo quel metodo e quelle intuizioni che erano rivoluzionari per quel tempo. Giovanni era una persona schiva, normale. Era una persona che aspirava alla normalità. Era una persona riservata. Se comparo quell’epoca all’attuale, vedo un gap terribile. Oggi è la società dell’immagine che costruisce eroi, personaggi che a tutti i livelli, non soltanto a livello di magistratura, ha bisogno di nutrirsi costantemente dell’apparenza. Attraverso quest’apparenza si creano mostri, vestiti di personaggi e di eroi che secondo me dovrebbero essere riconsiderati. Credo che sia venuto il momento per tutti per riscoprire l’etica della responsabilità e della sobrietà. Prima recuperiamo questo senso etico e prima ci rendiamo conto, come diceva Giovanni, che quello che conta di un uomo non sono le parole ma i fatti».

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