LAMEZIA TERME «Cosa resta delle sue tensioni morali? Su quali gambe hanno camminato le sue idee? Molto è cambiato. Ma non tutto. Al voto siciliano c’è un candidato di Cuffaro. Dell’Utri è tornato a sussurrare ai potenti. Toghe del calibro di Gratteri e Di Matteo manca poco che possano “andare in procura solo a fare pipì”, come confessò una volta lo stesso Falcone». Massimo Giannini, direttore de La Stampa, si interroga sul lascito di Giovanni Falcone a 30 anni dall’attentato che pose fine alla vita del magistrato che cambiò per sempre la lotta alle mafie. E, nella riflessione su quell’eredità, non può non riservare un passaggio amaro su quanto spesso la vita delle toghe in prima linea, come il procuratore di Catanzaro, sia resa difficile. Un tema sul quale Gratteri, anche oggi ad Ancona, non lesina critiche, ricordando che nell’ultimo anno si è perso parecchio terreno nella lotta contro le infiltrazioni mafiose. «Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali, e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini…»: Giannini ricorda le parole di Falcone e solleva le contraddizioni di questo tempo in cui la lotta alle mafie non pare proprio una priorità della politica. Ricorda, Giannini, che «mancano ancora frammenti di verità su quei terribili anni. Non solo Addaura e Capaci, anche via D’Amelio. Chi e perché inquinò l’indagine? Dov’è l’agenda rossa di Borsellino? Paolo, dopo i funerali di Falcone, disse alla sorella Maria “sto scoprendo cose che non immagini, altro che Tangentopoli”. Misteri. Ma sarebbe un oltraggio a Giovanni, Francesca, Schifani, Ditino e Montinaro pensare che il loro martirio sia stato vano. Al maxiprocesso sono stati inflitti 2.665 anni di carcere. Tanti boss, da Bagarella a Provenzano, sono finiti al 41-bis, non più all’Hotel Ucciardone. Ma molto resta da fare. Le mafie non mettono più bombe: controllano la finanza. Per questo ricordare Falcone resta un atto di resilienza civile, etica, politica».
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