REGGIO CALABRIA Prenderà il via domani, 25 maggio, a Reggio Calabria il processo d’appello a carico di Mimmo Lucano. Lo scorso settembre l’ex sindaco di Riace era stato condannato dal Tribunale di Locri a 13 anni e 2 mesi di carcere nell’ambito dell’inchiesta “Xenia”. Insieme a lui erano state condannate altre 16 persone.
Nell’ottobre del 2018 Lucano era stato arrestato dalla Guardia di Finanza e posto ai domiciliari. Contro di lui e altre 26 persone l’accusa della Procura di Locri, guidata da Luigi D’Alessio, di aver messo in piedi un vero e proprio sistema criminale per sfruttare i fondi destinati all’accoglienza per vantaggi personali. Associazione a delinquere, abuso d’ufficio, truffa, concussione, peculato, turbativa d’asta, falsità ideologica e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per presunti illeciti nella gestione del sistema di accoglienza dei migranti. Queste, a vario titolo, le accuse contro l’ex sindaco e le persone che hanno lavorato con lui nella gestione dei progetti. La Procura di Locri con l’operazione denominata “Xenia” ha attaccato in toto il lavoro di Lucano nel piccolo borgo della Locride. Un’inchiesta che ha, di fatto, smantellato il Modello Riace. «Lucano, – hanno scritto i giudici nelle motivazioni della sentenza di condanna – da dominus indiscusso del sodalizio, ha strumentalizzato il sistema dell’accoglienza a beneficio della sua immagine politica». Il processo di primo grado si era concluso con una condanna durissima da parte del collegio giudicante presieduto da Fulvio Accurso, che nelle 900 pagine di motivazioni aveva parlato di «furbizia, travestita da falsa innocenza». Quasi il doppio della pena rispetto a quella chiesta dalla Procura di Locri, che a maggio aveva formulato per l’ex sindaco una condanna di 7 anni e 11 mesi di carcere. Secondo i giudici di Locri l’ex sindaco di Riace era al vertice di un’organizzazione «tutt’altro che rudimentale, che rispettava regole precise a cui tutti si assoggettavano, permeata dal ruolo centrale, trainante e carismatico di Lucano il quale consentiva ai partecipi da lui prescelti di entrare nel cerchio rassicurante della sua protezione associativa, per poter conseguire illeciti profitti, attraverso i sofisticati meccanismi, collaudati negli anni e che ciascuno eseguiva fornendogli in cambio sostegno elettorale».
Una «lettura forzata se non surreale dei fatti», secondo i difensori di Lucano. Per gli avvocati Andrea Daqua e Giuliano Pisapia – che avevano parlato di una condanna «abnorme» – l’obiettivo dell’ex sindaco di Riace «era uno solo ed in linea con quanto riportato nei manuali Sprar: l’accoglienza e l’integrazione. Non c’è una sola emergenza dibattimentale (intercettazioni incluse) dalla quale si possa desumere che il fine che ha mosso l’agire del Lucano sia stato diverso». Nelle motivazioni d’appello i legali rilevano che in sentenza c’è stato un «uso smodato delle intercettazioni telefoniche, conferite in motivazione nella loro integralità attraverso la tecnica del copia/incolla». Intercettazioni che, in molti casi, secondo gli avvocati sarebbero inutilizzabili. «Siamo convinti di aver fornito alla Corte di Appello argomentazioni sufficienti per la riforma della sentenza impugnata e la conseguente assoluzione di Mimmo Lucano», hanno fatto sapere Daqua e Pisapia. (redazione@corrierecal.it)
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