REGGIO CALABRIA È iniziato questa mattina a Reggio Calabria il processo d’appello a Domenico Lucano, l’ex sindaco di Riace condannato in primo grado a 13 anni e 2 mesi di reclusione dal tribunale di Locri nell’ambito dell’inchiesta “Xenia”. Davanti alla Corte d’Appello di Reggio Calabria, presieduta dal giudice Giancarlo Bianchi (giudici relatori Davide Lauro e Massimo Minniti), sono state prima lette le motivazioni del ricorso presentato dai difensori di Lucano e delle altre persone condannate insieme a lui con l’accusa di aver utilizzato i fondi destinati all’accoglienza per trarre vantaggi personali. Associazione a delinquere, abuso d’ufficio, truffa, concussione, peculato, turbativa d’asta, falsità ideologica e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Queste, a vario titolo, le accuse della Procura di Locri che ha attaccato in toto il sistema alla base del celebre “Modello Riace”.
«Riteniamo – ha affermato ai nostri microfoni l’avvocato Andrea Daqua – che l’innocenza di Lucano sia documentalmente provata». Per gli avvocati Daqua e Giuliano Pisapia – che avevano definito la condanna in primo grado «abnorme» – l’obiettivo dell’ex sindaco di Riace «era uno solo ed in linea con quanto riportato nei manuali Sprar: l’accoglienza e l’integrazione. Non c’è una sola emergenza dibattimentale (intercettazioni incluse) dalla quale si possa desumere che il fine che ha mosso l’agire del Lucano sia stato diverso». Nelle motivazioni d’appello i legali rilevano che in sentenza c’è stato un «uso smodato delle intercettazioni telefoniche, conferite in motivazione nella loro integralità attraverso la tecnica del copia/incolla». Intercettazioni che, in molti casi, secondo gli avvocati sarebbero inutilizzabili. Il processo riprenderà il 6 luglio. (redazione@corrierecal.it)
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