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«Ciriaco De Mita, il politico che vedeva prima di tutti gli altri»

Un grande leader politico e uomo delle istituzioni. Questo è stato Ciriaco De Mita. Non sono espressioni dettate da retorica o sentimentalismo. E’ il riconoscimento che arriva unanime da ogni lati…

Pubblicato il: 26/05/2022 – 18:48
di NICODEMO OLIVERIO*
«Ciriaco De Mita, il politico che vedeva prima di tutti gli altri»

Un grande leader politico e uomo delle istituzioni. Questo è stato Ciriaco De Mita. Non sono espressioni dettate da retorica o sentimentalismo. E’ il riconoscimento che arriva unanime da ogni latitudine, politica e non solo, del nostro Paese. Ed è, niente di più niente di meno, che la verità. Quindi motivo di orgoglio soprattutto per quanti, come me, hanno militato nello stesso partito, hanno avuto la fortuna di conoscerlo e divenirne collaboratore ma soprattutto di condividerne l’orizzonte politico che, lo ha ricordato bene il presidente della Repubblica, «camminando nel solco del cattolicesimo politico trovava nel popolarismo sturziano le sue matrici più originali e che vedeva riproposto nel pensiero di Aldo Moro». Ho incontrato per la prima volta De Mita agli inizi degli anni ottanta, al Dipartimento organizzativo della Dc che era guidato dal ciellino Nicola Sanese. Lo sforzo di De Mita, divenuto segretario del partito fu, anche attraverso Sanese, di innervare nella struttura del partito giovani che provenivano dalle realtà associative di comune ispirazione. Per questo venne promosso un Corso di formazione per l’assunzione di funzionari del partito al quale parteciparono cento giovani: non era mai accaduto prima, un investimento fiducioso e coraggioso con l’obiettivo di scuotere l’albero del partito che col passare degli anni anche sul piano organizzativo si era andato inaridendo perdendo attrattività e capacità di accogliere al suo interno quanto di fresco, di originale, di moderno cresceva al di fuori dei suoi confini. Per noi che venivamo dal mondo cattolico o dal Movimento giovanile De Mita rappresentava un’occasione, che sentivamo insieme urgente e promettente, per il rinnovamento della Democrazia Cristiana e per il cambiamento delle Istituzioni. Aveva chiaro De Mita che occorreva una poderosa scossa alla Dc per riportarla alle origini di partito popolare, cioè forte di partecipazione e consenso vero nella società e non più incanalati e in qualche modo congelato dalle correnti e dalle loro gerarchie e di soggetto politico capace di guidare il Paese con una visione, un pensiero direbbe lui. Non c’è, non ci può essere un agire politico senza un pensiero politico che lo ispiri e lo diriga ripeteva sempre. E avviò, in quegli anni ottanta difficili ma ricchi di opportunità, la stagione del rinnovamento. Chiedendo, ed ottenendo una risposta positiva e generosa, alle migliori intelligenze e competenze del cattolicesimo di partecipare a questo sforzo diciamolo, un po’ titanico. Nacque così l’assemblea degli Esterni, uno dei momenti più alti dell’intera vicenda politica italiana di confronto e dialogo con la società per guardare avanti, per portare il Paese verso nuovi equilibri politici e assetti socio economici capaci di consentire sviluppo nel nuovo scenario internazionale che si stava componendo e continuando ad assicurare giustizia sociale e tutela per le persone e le aree più deboli. E qui non può non legarsi il suo meridionalismo orgoglioso ma anche intelligente, modernizzatore, avverso alla narrazione caricaturale del territorio che pretende risarcimenti e fiumi di risorse e convinto invece che solo lo sviluppo economico, sociale, infrastrutturale anche del Mezzogiorno avrebbe reso il Paese più forte, più solido, più competitivo sul terreno della concorrenza internazionale sempre più agguerrita e estesa. E trovava accanto a lui, in quella intelligenza meridionalista, il nostro Riccardo Misasi, che sarà al suo fianco in tutti i principali incarichi che ha ricoperto. Da rinnovare però non c’era solo la Dc. L’architettura istituzionale della Repubblica necessitava di riforme che le consentissero di stare al passo con i cambiamenti sociali, produttivi, economici. Era quella sua attitudine, per usare un’espressione morotea, di “intelligenza delle cose” che lo portava a vedere prima di altri ostacoli ed opportunità. Le riforme non hanno trovato approdo negli anni ottanta. E nemmeno più tardi, in verità, come testimoniano i fallimenti delle Bicamerali e i non pochi progetti mai arrivati a conclusione o bocciati da referendum. Ora che la lunga stagione umana e politica di questo leader si è conclusa, assieme alla tristezza sento, come credo tanti, la gratitudine per un magistero i cui insegnamenti certamente non finiscono con la sua vita terrena.
* Già dirigente Dc e parlamentare Pd

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