LAMEZIA TERME «Ci siamo concentrati sul Covid, giustamente lo abbiamo fatto. Ma inconsapevolmente abbiamo abbandonato gli studi e le attività di follow-up verso pazienti con malattie croniche e degenerative». A poco più di due anni dallo scoppio della pandemia da Coronavirus in tutto il mondo, il sistema sanitario italiano, e a maggior ragione quello calabrese, fa i conti con quello che resta e con quelle che sono, invece, le prospettive a medio e lungo termine, cercando di scrollarsi dalle spalle uno spesso strato di polvere e previsioni impossibili. Partendo comunque da una maggiore consapevolezza e dalla necessità di recuperare, e in fretta, il tempo perduto.
A fornire il quadro della situazione è Gerardo Mancuso, vicepresidente nazionale dei medici di Medicina Interna, primario all’ospedale di Lamezia Terme. È lui ai microfoni del Corriere della Calabria a spiegare che questi casi riguardano «la gran parte dei pazienti del nostro Paese, di età superiore ai 70 anni e con malattie. Oggi scopriamo che queste patologie sono più evolute, hanno gravità e complicanze maggiori e tutto questo non si recupera». Una volta acquisiti questi dati che cristallizzano una situazione allarmante, secondo Mancuso è oltremodo necessario «mettere a punto strategie che consentano di migliorare quanto più possibile l’intervento terapeutico in questi pazienti. Abbiamo l’obbligo come società scientifica e come comunità calabrese di intercettare questi pazienti e di iniziare un’attività». Certo, non è solo l’atto medico che porterà dei miglioramenti, e questo Mancuso lo sa bene: «Qui – spiega ancora – è necessario mettere a punto una strategia coinvolgendo o meglio, cercando di essere guidati anche da chi deve regolare il sistema. Se questo non accadrà, tra poco tempo avremo pazienti più malati e mortalità maggiore e maggiore disabilità».
Tirando le somme, dunque, sono davvero tanti gli aspetti che preoccupano una comunità scientifica che ha molto terreno da recuperare dopo gli enormi (e devastanti) sforzi compiuti per fronteggiare un’emergenza inedita come quella del Covid-19. Tra questi ci sono le patologie che da subito dovranno essere esaminate e affrontate. «A preoccuparmi maggiormente – ci spiega Mancuso – sono le malattie croniche come il diabete che porta con sé una serie di complicanze; e poi le malattie cardiovascolari, l’ipertensione, i pazienti con insufficienza respiratoria e con malattie metaboliche. Sono questi la gran parte di quei pazienti che, secondo i dati Istat, alimentano la mortalità per circa il 44% delle morti in Calabria quindi noi dobbiamo incidere su queste». «E poi – spiega Mancuso – ci sono ovviamente le malattie oncologiche ma che, stranamente, sono quelle che hanno avuto un impatto inferiore».
A suscitare un certo clamore è stata la disamina di Mancuso in merito ad alcuni aspetti del nuovo decreto legislativo, tuttora in revisione al ministero della Salute, e che presto approderà in parlamento. «Noi come comunità scientifica abbiamo già espresso pareri – spiega subito Mancuso- perché si tratta di un decreto che in tutto il nostro paese e non solo in Calabria riorganizza la rete ospedaliera secondo un principio innovativo che è quello della performance. Significa cioè che le attività devono rispondere secondo le regole della scienza cioè se un paziente ha una polmonite deve andare nell’ospedale per avere la giusta terapia, se un paziente ha un infarto deve andare nell’ospedale dove avrà la giusta terapia. Questo però è un diritto civile, noi non possiamo pensare che un paziente lontano da un presidio di eccellenza abbia un’attività clinica inferiore rispetto a chi, magari, ci si trova vicino. Dobbiamo dare a tutti le stesse possibilità». «Ma – riconosce Mancuso – questo principio della performance condiziona l’apertura e la chiusura degli ospedali perché avranno degli obiettivi da raggiungere e, in caso contrario, non potranno più espletare la loro attività di base ovvero i ricoveri e in Italia sarà imposta la chiusura».
Principi che, a maggior ragione in Calabria, potranno avere effetti quasi immediati e tangibili. «Secondo i criteri di questa prima tornata, la Calabria – spiega Mancuso – potrà avere al massimo 35 o 38 ospedali, di questi la metà potranno essere ospedali di base. Questi ultimi rischiano però di avere un impatto negativo perché se non raggiungeranno quegli obiettivi indicati nell’attuale revisione di legge, rischieranno di chiudere. Ma io credo che sia giusta questa impostazione così il cittadino saprà che se sarà ricoverato in certo ospedale, saprà di trovare la migliore cura del momento e questo consentirà di ridurre i ricoveri fuori regione e la mobilità passiva».
Altro aspetto fondamentale sarà poi quella che è la gestione della rete emergenza-urgenza. «Supponiamo che la rete dell’assistenza ospedaliera sia ridimensionata attorno a un numero, ovviamente dovrà funzionare tutto bene, dalla casa del paziente fino all’ospedale. E il decreto prevede la messa in opera di tre livelli di assistenza con ambulanza e mezzi con tecnologia avanzata fornita alle Regioni attraverso il Pnrr, così da avere feedback avanzati e immediati con l’ospedale in cui il paziente dovrà essere portato che consentirà di fare diagnosi e interventi terapeutici molto precoci e prima che arrivi in ospedale». «Questo – conclude Mancuso – è un sistema anglosassone, in molti paesi del mondo è già stato adottato e ha portato benefici e aumento dell’aspettativa di vita dei pazienti». (redazione@corrierecal.it)
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