COSENZA Ultime discussioni degli avvocati di difesa prima della sentenza. I legali Filippo Cinnante, Rossana Cribari e Francesco Boccia hanno discusso in aula in relazione alla posizione dei rispettivi clienti, imputati nel processo imbastito per fare luce sulla “Strage di via Popilia” avvenuta il 9 novembre del 2000. Che costò la vita a Benito Aldo Chiodo e Francesco Tucci. La prossima udienza sarà ancora una volta dedicata alle arringhe dei legali delle difese e toccherà a Mariarosa Bugliari, Gianfranco Giunta e Nicola Rendace. La sentenza, invece, potrebbe essere emessa il 28 giugno 2022.
Il sostituto pg Salvatore di Maio al termine della requisitoria in Corte d’Assise d’Appello a Catanzaro (presidente Caterina Capitò) aveva invocato la conferma della sentenza già emessa dalla Corte d’Assise del Tribunale di Cosenza: ergastolo per Fiore Abbruzzese, Antonio Abbruzzese e Celestino Bevilacqua mentre Luigi Berlingieri era stato condannato a 30 anni di reclusione e Saverio Madio alla pena di 28 anni e 6 mesi.
A giocare un ruolo determinante nella costruzione del castello accusatorio, le confessioni rese in aula dai collaboratori di giustizia chiamati a testimoniare. Su tutte, le cantate dell’ex boss dei nomadi “Franchino i Mafarda”. Secondo il pentito, la decisione di uccidere Benito Chiodo fu anticipata dagli attriti tra il gruppo dei nomadi e quello degli italiani, di cui la vittima era esponente. Gli “Zingari”, infatti, avevano deciso di estendere il terreno delle attività illecite e oltre al traffico di droga cercarono di accaparrarsi anche il business delle estorsioni. Benito Chiodo avrebbe violato i patti di una presunta alleanza e lo “sgarro” l’avrebbe pagato con la vita. Come riferito dallo stesso collaboratore di giustizia, alla guida della Lancia Thema (che sarebbe stata usata per l’agguato mortale) si trovava Fiore Abbruzzese insieme a Franco Bevilacqua, Gianfranco Iannuzzi (deceduto) e Luigi Berlingieri. Il mandante sarebbe stato Antonio Abbruzzese, mentre Francesco Madio e Celestino Bevilacqua avrebbero svolto un ruolo di supporto al gruppo di fuoco.
L’auto utilizzata dal sodalizio e citata da “Franchino i Mafarda” è finita al centro dell’arringa dell’avvocato Francesco Boccia. Che nella sua discussione ha sostenuto come la stessa fosse stata rottamata subito dopo il dissequestro, in un periodo successivo al pentimento del collaboratore di giustizia. Inoltre, altra incongruenza rilevata dal legale è nella dinamica dell’omicidio. Il pentito parla di un agguato avvenuto con l’utilizzo di due pistole, mentre dalla prima consulenza balistica emergerebbe l’utilizzo di una sola arma. Boccia poi si sofferma sulle «tante» contraddizioni scaturite dalle dichiarazioni rese dal pentito. Sempre secondo il racconti di “Franchino i Mafarda”, dopo l’omicidio, il commando avrebbe sparato alcuni colpi in aria mentre lo stesso collaboratore di giustizia sarebbe tornato sul luogo del delitto per verificare l’effettiva morte dei due bersagli. Una circostanza che contrasta con le dichiarazioni del figlio di Chiodo che ha escluso il ritorno dei killer sul luogo del crimine. In buona sostanza, l’arringa di Boccia si è poggiata sulla credibilità del teste d’accusa e sulla validità delle ricostruzioni effettuate e delle affermazioni rese nel corso del dibattimento. (f. b.)
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