LAMEZIA TERME È il 4 dicembre 1992: Giovanni Falcone è morto da poco più di sei mesi, Paolo Borsellino da meno di cinque. Cosa Nostra – dopo le stragi – è un’emergenza nazionale, la ‘ndrangheta invece cresce nell’ombra. Questa è la storia che racconterebbe chiunque fosse interrogato su quegli anni. Alle 9,35 di quella mattina, invece, davanti alla Commissione parlamentare antimafia presieduta da Luciano Violante, un collaboratore di giustizia siciliano pronuncia parole che all’epoca suonano così sconvolgenti da finire per essere sottovalutate, quasi riposte in un cassetto per anni, prima che le nuove evidenze investigative ne svelassero la fondatezza. Il collaboratore è Leonardo Messina, prima soldato e poi sottocapo della “famiglia” di San Cataldo, provincia di Caltanissetta. È un mafioso rispettato, ha contatti con i vertici di Cosa Nostra; quando decide di cambiare vita è arrivato abbastanza in alto nelle gerarchie mafiose da raccontare verità che, a quell’epoca, sono scioccanti.
Messina è il primo pentito a svelare l’esistenza del sistema mafia come “cosa” unica, con legami e camere di compensazione a livello mondiale. Giuseppe Lombardo, procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria, ha rievocato alcuni passaggi della testimonianza di Messina in un recente dibattito. Dal testo completo dell’audizione è possibile rileggere quelle parole. I commissari chiedono a Messina se sappia dell’esistenza di strutture di Cosa Nostra in Basilicata. «Non ne sono a conoscenza», risponde. Poi passano alla Calabria. E la risposta li lascia senza parole: «Il vertice della ‘ndrangheta è Cosa Nostra». «Cioè, gli ‘ndranghetisti che comandano in Calabria sono affiliati a Cosa Nostra?», domanda Violante. «Il vertice è Cosa Nostra», ribadisce il pentito. E gli altri? «I soldati – spiega Messina – non sanno che appartengono tutti a un’unica organizzazione. Lo sa il vertice. Altrimenti uno come me che girava l’Italia avrebbe conosciuto tutti e invece non deve essere così. È il vertice che deve conoscere». In Calabria «uno dei vertici è – parliamo sempre del 1992 – Ciccio Mazzaferro». E poi «D’Agostino, Furfaro e altri sono uomini di Cosa Nostra».
In questo unico sistema la classificazione geografica delle mafie storiche perde di senso: sono soltanto etichette della “Cosa unica”. Il collaboratore di giustizia di San Cataldo ribadisce ciò che per lui è ovvio. Lo fa anche nel brano di audizione che riguarda le morti eccellenti dei giudici. La Commissione affronta l’omicidio del giudice Antonino Scopelliti, chiedendo a Messina se ne sappia qualcosa. «Posso dire quello che si diceva dopo l’uccisione di Falcone – risponde –. Si pensava che quell’incarico sarebbe diventato di Cordova. Si diceva “come è stato ucciso Scopelliti i calabresi uccideranno pure lui”». Il nome di Agostino Cordova, magistrato autore di una storica inchiesta sugli addentellati della massoneria deviata nel sistema mafioso e oltre, era in effetti stato avvicinato alla super procura antimafia. Per Messina, se quella nomina fosse arrivata i calabresi si sarebbero mossi. Violante chiede: «Quindi Scopelliti sarebbe stato ucciso da calabresi appartenenti a Cosa Nostra?». «Sì – dice il collaboratore di giustizia –. La ‘ndrangheta è solo un nome. La struttura è tutta Cosa Nostra».
Messina racconta ai commissari dell’esistenza di una «commissione mondiale» chiamata a decidere sulle strategie globali del “sistema mondiale”. «Siamo sempre appartenuti a un contesto mondiale. Ma Cosa Nostra, nella persona di Salvatore Riina, da novembre ne è il rappresentante», spiega.
Per Cosa Nostra, il pentito siciliano intende il sistema criminale nel suo complesso. «Non esistono altre organizzazioni in Italia al di fuori di Cosa Nostra. Tutte le altre sono diciture, ma la struttura è sempre quella di Cosa Nostra: si chiamino Sacra Corona Unita, ‘ndrangheta, camorra e così via, si tratta di nomignoli, ma la struttura è Cosa Nostra. (…) Le regioni eleggono il loro rappresentante nazionale, che è il contatto con le altre organizzazioni, da non confondere con le decine che le varie famiglie hanno sparse per il mondo, che sono altre organizzazioni, altre mafie che non sono Cosa nostra». Gli organismi mondiali e nazionali si riuniscono «quando ci sono particolari affari» e «anche per l’interesse che possono avere in processi importanti, nei quali possono essere coinvolti propri uomini». E «l’interesse è solo uno: quello di un’unica organizzazione, non di cinque organizzazioni». Che Cosa Nostra sia, in quel momento storico, ai vertici di questa Spectre del crimine mondiale, Messina lo ha scoperto «a novembre» del 1992. «Una sera – dice – ero a Pietraperzia, in provincia di Enna, e c’erano tantissimi pacchi di scarpe. Ho chiesto: cosa c’è, una festa? Mi hanno risposto: no, devi essere contento perché il tuo principale è stato eletto sottocapo mondiale. Da ieri, la rappresentanza mondiale di tutte le organizzazioni è di Salvatore Riina e Giuseppe Madonia».
In questo (per l’epoca) sconvolgente quadro, Messina sottolinea un altro passaggio in corso. Dice, infatti, che Cosa Nostra sta «scomparendo e sta venendo fuori un’altra cosa» (la sintesi appartiene a Violante). «Non è la prima volta che Cosa nostra cambia nome e pelle. I corleonesi si debbono spogliare di tutti gli uomini. Quando sono arrivato come collaboratore ho detto che c’era qualcosa che stava cambiando: sta cambiando il sistema, si stanno rigenerando, non sarà più Cosa nostra, si chiamerà … lo hanno fatto anche in passato. Si spoglierà di tutti gli uomini d’onore, un po’ perché sono carcere e carcere, un po’ perché con la repressione li arresteranno. In un certo senso le stiamo facendo un favore». Era in corso la creazione di quella che il collaboratore chiama «una struttura di non presentazione. Già ci sono uomini sia sul palermitano – qualcuno lo conosco – sia nel nisseno che non presentano a nessuno, pur facendo i loro affari. È una Cosa nostra parallela».
È un passaggio preliminare al grande progetto autonomista del “sistema mafia”. Un piano pensato in una riunione in provincia di Enna dove i vertici «avevano fatto la nuova strategia e avevano deciso i nuovi agganci politici, perché si stanno spogliando anche di quelli vecchi». Cosa significa? «Cosa nostra sta rinnovando il sogno di diventare indipendente, di diventare padrona di un’ala dell’Italia, uno Stato loro, nostro». Un obiettivo in cui la mafia «non è sola, ma è aiutata dalla massoneria»; per portarlo a termine, Cosa Nostra si sta rivolgendo a «forze nuove», «formazioni politiche nuove» che «non vengono dalla Sicilia» ma «da fuori». Nel 1992 quelle forze «si stanno creando» e si uniscono ai contatti con «personaggi tradizionali della politica».
La regia, comunque è nelle logge deviate. «Molti degli uomini d’onore, cioè quelli che riescono a diventare dei capi, appartengono alla massoneria. Questo non deve sfuggire alla Commissione, perché è nella massoneria che si possono avere i contatti totali con gli imprenditori, con le istituzioni, con gli uomini che amministrano il potere diverso di quello punitivo che ha Cosa nostra». È nella massoneria deviata che sorge l’idea del separatismo. Messina parla non alla luce di deduzioni ma «per conoscenza diretta». E le sue parole anticipano di quasi trent’anni le ricostruzioni investigative sull’appoggio offerto dalle mafie ai movimenti separatisti meridionali.
Messina anticipa un altro filone investigativo che sarebbe diventato d’attualità soltanto diversi anni dopo. Dice, infatti, che in Cosa Nostra esistono strutture segrete. «Ci sono strutture che non comunicano: non è che tutti gli uomini devono sapere. Vi sono uomini che non sanno oltre la propria famiglia, o la propria decina; non tutti gli uomini, cioè, vengono messi al corrente di tutto». Nel “sistema” vi sono persone il cui nome è destinato a restare sconosciuto, «o perché rivestono cariche politiche, o perché sono uomini pubblici e nessuno deve sapere chi sono. Lo sa soltanto qualcuno. Poi ci sono altri che sono “punti”, ai quali non tutti gli uomini si possono rivolgere, perché c’è un passaggio obbligato. Perciò, il contatto è sempre uno per tutti». Pare di leggere l’identikit degli “invisibili”, affiliati ai clan il cui nome resta riservato e noto soltanto ai vertici della criminalità “classica”.
Torna alla mente l’esempio della clessidra utilizzato da Lombardo nel dibattito su mafia e massoneria. La base della ‘ndrangheta, quelli che Messina chiama i soldati, vedono soltanto fino a un certo punto, fino ai vertici delle associazioni criminali. È oltre la strozzatura della clessidra che si trova il “sopramondo”: un’area accessibile soltanto ad alcuni boss, cerniere di raccordo tra le mafie storiche e pezzi di istituzioni (e non solo) che con quelle mafie fanno affari e “governano” interi pezzi di Paesi grazie a una forza economica capace di destabilizzare le democrazie. (p.petrasso@corrierecal.it)
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