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la lunga confessione

L’organizzazione, i business illeciti e lo spaccio di droga. Il pentito svela i “segreti” del gruppo Presta

Le dichiarazioni rese da Roberto Presta, collaboratore di giustizia, contenute nei verbali acquisiti nel processo “Valle dell’Esaro”

Pubblicato il: 04/06/2022 – 15:40
di Fabio Benincasa
L’organizzazione, i business illeciti e lo spaccio di droga. Il pentito svela i “segreti” del gruppo Presta

COSENZA «Ho deciso di collaborare per dare un futuro diverso alla mia famiglia». Roberto Presta decide di saltare il fosso nel 2021 ed è una prima volta storica: nessun membro di un gruppo egemone ai piedi del Pollino e della zona jonica del Cosentino si era mai pentito. Insieme a suo fratello Antonio, Francesco Ciliberti e Costantino Scorza – in base alle indagini condotte dalla squadra mobile di Cosenza che hanno portato al rinvio a giudizio di 52 persone – era al vertice dell’organizzazione criminale orfana di Franco Presta, recluso al regime di carcere duro. La Valle dell’Esaro, fino ai confini dell’area urbana di Cosenza, avrebbe operato attraverso una capillare organizzazione criminale garantendo l’arrivo di ingenti quantità di droga oltre che alla commissione di reati comuni. Come avrà modo di raccontare lo stesso Presta nel corso degli interrogatori resi dopo la decisione di collaborare con la giustizia. Tutte informazioni contenute nei verbali depositati nel processo scaturito dall’inchiesta “Valle dell’Esaro” in corso al Tribunale di Cosenza, di cui vi proponiamo alcuni stralci.

Il traffico di droga

«La droga la vendevo per conto mio, avendo una posizione di primo piano nei vertici dell’associazione finalizzata al traffico di stupefacente», precisa Roberto Presta nel verbale di interrogatorio. Che poi aggiunge particolari sulla struttura del «suo gruppo». «Le persone dotate di potere decisionale all’interno dell’associazione erano mio fratello Antonio Presta e mio nipote Giuseppe Presta, cui aggiungo Francesco Ciliberti (sposato con la figlia di Franco Presta). Subito dopo ci sono io che opero in stretto contatto con Mario Sollazzo. Quest’ultimo prendeva la droga da noi e riforniva dei pusher a Roggiano Gravina, San Lorenzo del Vallo, Altomonte e Cosenza». Sulla figura di Francesco Ciliberti, il collaboratore precisa. «Non spacciava, ma era un elemento di vertice e aveva contatti con gli spacciatori. Andava spesso in provincia di Reggio Calabria per le gare con i suoi cavalli ed aveva contatti con Antonio Pelle e Antonio Giannetta». Da quanto emerge dalle confessioni del pentito e contenute nei verbali acquisiti nel procedimento in corso a Cosenza, «Ciliberti gestiva lo spaccio a Tarsia, Spezzano Albanese e San Lorenzo del Vallo. Essendo genero di Franco Presta veniva tenuto molto in considerazione». Non solo la vendita della polvere bianca, il gruppo gestiva altre attività illecite ma la droga era decisamente il core business. «Trattavamo tutti i tipi di droga eccetto l’eroina, ma era sicuramente quella che favoriva le migliori entrate economiche. Acquistavamo circa un chilo di cocaina al mese e Giannetta detto “il riggitano” veniva una o due volte al mese sia per trasportare la polvere bianca che per riscuoterne i pagamenti. La roba la trasportava in auto, abilmente nascosta nel cruscotto». Tutti erano particolarmente attenti alle conversazioni telefoniche e per questo motivo «i contatti li mantenevamo con i Black Berry». Sul suo ruolo, Roberto Presta aggiunge. «Mi occupavo del traffico di stupefacenti, acquistando la droga da mio fratello Antonio Presta che mi indicava dove andare a ritirare, di volta in volta, lo stupefacente dalla persona preposta. Mi mandava a San Lorenzo del Vallo ad incontrare Antonio Giannetta proveniente dalla provincia di Reggio Calabria. Altre volte andavano insieme a mio nipote Giuseppe Presta e Francesco Ciliberti che con mio fratello concordava acquisto e modalità di ritiro». La paga per il lavoro svolto era di «1.000 euro per ogni partita di droga» gestita da Roberto Presta «mentre per quella che vendevo trattenevo una percentuale». Chi erano i fornitori del gruppo? «Vi erano altri fornitori di cocaina oltre a Giannetta, tutti della provincia di Reggio Calabria, ma io non li ho mai visti». Dove veniva venduto lo stupefacente? «La droga si vendeva a Roggiano Gravina e paesi limitrofi. In zona, il punto di riferimento era Ciliberti e la droga in conto-vendita veniva ceduta dallo stesso a Costantino Scorza detto “il vecchio” o “peso morto”, ma tutti lo chiamano Costanzo».

L’autonomia rivendicata da Scorza

“Il vecchio” pretendeva autonomia, un ruolo dettato dalla storica appartenenza al gruppo ma soprattutto in virtù dell’amicizia e della vicinanza con Franco Presta. Un “prestigio” acquisito che lo stesso Scorza non perdeva occasione per ribadire alle nuove leve del sodalizio. D’altro canto basti pensare che il pentito Angelo Colosso, nel corso di un’udienza definì Franco Presta «il maggiore criminale che c’è». Scorza era stato per anni «braccio destro di Presta con il quale aveva commesso molti reati». Con Scorza però Roberto Presta non andava d’accordo. «Aveva troppa autonomia e due pusher che si rifornivano dal nostro gruppo tramite un’altra persona erano stati avvicinati da lui ed impose loro l’acquisto di stupefacente». Di Scorza si lamentarono altri membri del sodalizio. «Andava quotidianamente dai pusher a chiedere anticipatamente la restituzione, i pagamenti dello stupefacente ceduto prima della data pattuita».

Antonucci, il «dottore»

Nell’organizzazione oltre ai fornitori e venditori di droga, c’era chi come Armando Antonucci detto “il dottore” si occupava «del taglio delle sostanze stupefacenti e riforniva una rete di pusher su Cosenza, Terranova da Sibari, Tarsia e Spezzano Albanese». Lo stesso, «consegnava a Sollazzo il denaro provento della attività illecite». Dal giorno dell’arresto di Roberto Presta, “il dottore” salirà di grado ed inizierà «a rivestire un ruolo più importante. Si può dire che prese il mio posto», confessa il pentito che aggiunge un particolare sull’attività svolta dall’ex compare: «Procurò delle pistole a mio fratello».

La paura delle “cantate”

Non esiste, da un punto di vista processuale, un clan Presta e per questo le rivelazioni del collaboratore vengono considerate preziose dagli inquirenti. Nei verbali entrati ufficialmente nel processo “Valle dell’Esaro” sono centinaia le pagine omissate, ma i racconti del pentito confermano la volontà di non compiere nessun passo indietro e la conferma della decisione presa per uscire da un mondo che non riteneva più essere il suo. Presta fornisce – nel corso dell’interrogatorio – dettagli anche in relazione ai rapporti in seno all’associazione. «Nel 2017, in una occasione Mauro Marsico requisì quale impegno per un mancato pagamento di una partita di droga da parte di Marco Patitutcci, l’auto di quest’ultimo. Patitutcci (all’inizio del 2017) venne arrestato per detenzione di stupefacenti ed ero preoccupato che potesse rivelare agli inquirenti i dettagli del traffico di droga della nostra organizzazione. Ne avevo parlato con Sollazzo», riferisce il collaboratore. «Patitucci era un pusher che dava problemi, ritardava spesso nei pagamenti. Mentre mi trovavo ai domiciliari, mio nipote Giuseppe Presta mi riferì che lui, Mario Palermo, Giuseppe Palermo e Mauro Marsico andarono da Marco Patitucci e lo picchiarono perché aveva acquistato della droga dai nostri rivali». E ancora, «in un’altra occasione Mario Palermo andò a casa di Patitucci e gli sottrasse il televisore per poi dare fuoco alla casa».

Le armi da utilizzare «in caso di guerre»

Quello dei Presta non si può definire un “gruppo di fuoco”. Nessuna predisposizione all’uso delle armi: ai proiettili ed al sangue, si preferivano lo spaccio e i contanti. Ma come ogni sodalizio, le armi servivano per difendersi da eventuali sortite offensive dei rivali o per rispondere ad un eventuale attacco. «Saverio Morelli – confessa Presta – aveva la possibilità di reperire delle armi per il nostro gruppo. Mio fratello Antonio possedeva delle armi in caso di “guerre”, erano utilizzabili». «Le armi – precisa il collaboratore di giustizia – non venivano usate in occasione della riscossione dei crediti di droga». Scarso il feeling di Roberto Presta con le pistole. «Non ho mai visto da vicino un fucile kalashnikov, mi è capitato di esercitarmi al tiro con pistole semi automatiche di provenienza illecita. Non c’è mai stato bisogno di utilizzare le armi».

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