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«Qualche “barone” vorrebbe cancellare il corso antimafia, ma non ci arrendiamo»

Il prof Giancarlo Costabile racconta 11 anni di insegnamento non convenzionale all’Unical. «C’è una minoranza che rifiuta il cambiamento»

Pubblicato il: 06/06/2022 – 13:55
«Qualche “barone” vorrebbe cancellare il corso antimafia, ma non ci arrendiamo»

RENDE Da 11 anni Giancarlo Costabile, docente dell’Università della Calabria, è impegnato in quella che considera una vera e propria missione: insegnare ai suoi studenti come si combatte la mafia mostrando loro esempi concreti. Un impegno rivolto agli educatori del futuro, perché si tratta di giovani che studiano Scienze della formazione. Costabile, ricercatore universitario, insegna Pedagogia dell’antimafia, una disciplina unica in Italia che ha difeso con le unghie e con i denti dagli assalti dei “baroni”, e che si svolge non soltanto in aula, ma anche e soprattutto sul campo, con visite nelle “capitali” della mafia e nei luoghi del maggiore degrado in cui le organizzazioni criminali arruolano i loro soldati e dove, tuttavia, non mancano esempi di riscatto. Dunque, non solo lezioni tenute da giornalisti, magistrati, uomini delle forze dell’ordine conosciuti per il loro impegno contro il crimine organizzato e non o imprenditori che hanno denunciato il racket, ma anche trasferte a Palermo, Scampia, San Luca, Gioia Tauro, Locri per toccare con mano gli effetti devastanti della criminalità ma anche l’impegno in cooperative e aziende sorte su terreni confiscati alla ‘ndrangheta, alla camorra e alla mafia. Un caso unico, se si considera anche che le missioni si svolgono senza impegno di denaro pubblico e che, a parte una piccola quota di partecipazione richiesta agli studenti, il resto del denaro necessario per viaggio e pernottamenti Costabile lo mette di tasca propria.

Fare antimafia fuori dalle aule. «L’università è autoreferenziale»

«La prima iniziativa – racconta all’Agi – fu fatta sotto forma di seminario, non esisteva una progettualità didattica. Non c’era un corso, chiamiamolo così, né di educazione alla legalità né di pedagogia dell’antimafia, c’era semplicemente un percorso seminariale. Dopo una serie di discussioni e interne all’ateneo, con dei colleghi, la prima iniziativa formale il 23 di maggio del 2011». Primo relatore fu don Pino Demasi all’epoca portavoce regionale di libera che ha dato vita a delle cooperative agricole su terreni confiscati nel Reggino. «Io insegnavo storia della pedagogia; organizzammo l’evento con il compianto professor Michele Borrelli. Il tutto – spiega ancora – nacque come riflessione sull’educazione alla cittadinanza e alla legalità all’interno di corsi tradizionali di pedagogia. Facemmo quest’iniziativa nel giorno dell’anniversario della strage di Capaci. Successivamente io e Borrelli decidemmo di proporre un calendario di seminari all’interno dei nostri corsi». Nei mesi e gli anni successivi l’impegno si è consolidato con il contributo di figure di riferimento nella lotta alla criminalità, «non per parlare di educazione alla giustizia in maniera astratta o educazione alla legalità per cui – dice Costabile – nel novembre di quello stesso anno portammo i ragazzi a vedere i beni confiscati per far fare loro un’esperienza concreta su ciò nei territori stava accadendo nel contrasto alle mafie, sugli strumenti disponibili. E questo non solo attraverso i racconti in aula, perché l’università purtroppo è autoreferenziale, ma vivendo in prima persona esperienze di successo. La cooperativa La Valle del Marro di don De Masi fu la seconda cooperativa in Italia a nascere su beni sottratti alla mafia». Ma perché rifiutare il contributo pubblico? «Costruivamo – dice il professore Costabile – un percorso di memoria, di denuncia e lo facevamo per le vittime di mafia. Ci è sembrato metodologicamente corretto fare un’operazione di rottura con quello stesso sistema politico e istituzionale compromesso con le mafie. Un modo per essere liberi da condizionamenti. Abbiamo visto morire Falcone, Borsellino Chinnici, Pippo Fava, gente che denunciava le infiltrazioni della mafia nel tessuto non soltanto produttivo, ma anche in quello dello stato. Abbiamo scelto di non prendere sovvenzioni e io ho continuato a investire i soldi personali dello stipendio. Denaro dello stato non ne prenderò mai». Alla didattica fuori dall’aula gli studenti si appassionano.

«Qualcuno ha cercato di cancellare questa disciplina»

«Non sono loro che pagano per i docenti – dice – ma i docenti che pagano per loro. Abbiamo ribaltato totalmente lo schema tradizionale. Abbiamo avuto negli anni i numeri sorprendenti. Solo tra il 2013 e il 2016 più di 500 persone che gravitavano su questo percorso». Un modo concreto, secondo Costabile, per costruire un cultura alternativa a quella mafiosa. Far riconoscere come attività didattica questo lavoro fuori dagli schemi non è stato semplice, una parte del corpo accademico si è dimostrato refrattario. «Il messaggio di cui siamo portatori – dice Costabile – viene fortemente contrastato dalla società calabrese e anche dal mondo accademico. Abbiamo dovuto votare in consiglio di dipartimento per questa disciplina perché c’è stato chi ha tentato di cancellarla e sarebbe interessante capire perché, visto che di motivazioni ufficiali non siamo riusciti ancora ad averne. All’interno del mondo accademico c’è una partita molto complessa che si gioca quotidianamente».

«All’Unical c’è una minoranza bene organizzata che rifiuta il cambiamento»

La maggioranza dei docenti dell’Unical, tiene a precisare Costabile, non ha manifestato ostilità, «c’è però – fa rilevare – una minoranza molto bene organizzata che rifiuta il cambiamento. Non lo fanno, credo per gelosia – prosegue – ma forse per timore degli effetti sulla tenuta del tradizionale potere accademico che potrebbe collassare attraverso il rifiuto del denaro pubblico su iniziative del genere portando nelle aule esempi radicali di lotta al sistema. Nel febbraio-marzo 2019 era stato cambiato il nome della disciplina ed erano stati ridotti i crediti (praticamente la parte laboratoriale dell’insegnamento che era passato da 9 cfu a 6, con un taglio di 21 ore) senza che io ne sapessi nulla. Questo è accaduto nella commissione del consiglio di corso di laurea di Scienze dell’educazione, ma la decisione fortunatamente fu ribaltata in dipartimento». L’impegno sociale Costabile lo ha pagato in termini di compromissione della sua carriera, ma non è questo il suo cruccio. «Purtroppo – sostiene – come avviene sempre nel Mezzogiorno – i giovani studiano qui, ma devono andare nel Centro-nord per trovare lavoro. Noi formiamo menti per altri territori e questo limita il risultato dei nostri sforzi». 

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