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Cosenza, il collettivo Gaia presenta il nuovo allestimento “Confine”

Più di 15 artisti, provenienti da Russia, Ucraina e Italia, condivideranno le loro opere pittoriche, fotografie, disegni, video-installazioni, illustrazioni

Pubblicato il: 07/06/2022 – 9:30
Cosenza, il collettivo Gaia presenta il nuovo allestimento “Confine”

COSENZA L’umanità sembra non poter vivere senza confini, barriere, frontiere, quasi fosse animata da un morboso bisogno di separare, distinguere, allontanare. Come se, per affermare la propria identità, fosse necessario confinare l’altrui in un territorio esterno, estraneo, ben distante dalle nostre abitazioni, dai nostri costumi, dai nostri pensieri. In poche parole, siamo quello che siamo proprio perché gli altri abitano in una dimensione altra e sono radicalmente diversi da noi.
La filosofia si è misurata, da sempre, con il concetto di confine, interpretandolo, ora, alla stregua di limite invalicabile, ora, come soglia precaria e invitante, pronta per essere infranta, superata. Di certo, il confine, letto come argine o percepito come trampolino di lancio verso un altrove indefinito, rimane pur sempre una linea, reale o immaginaria, di comunicazione, interrotta o felice che sia. Siamo abituati a ragionare secondo confini perché il pensiero occidentale si è, da sempre, lasciato irretire nell’asfittica morsa della logica duale, della morale binaria, agognando il vero e ricercando spasmodicamente il giusto, ricacciando fuori dei confini tutto il resto. Ecco come la sana e stupefacente diversità, geografica ed emotiva, si è trasformata drammaticamente in pericolosa menzogna, sordido vizio, peccato capitale, contraddizione irreparabile.
L’arte contemporanea, sopratutto negli ultimi decenni, si è spesso interrogata sul concetto di confine, dalle indagini di Sophie Calle sull’interazione tra ebrei e arabi in quel di Gerusalemme agli eclatanti interventi territoriali tipici della land art di Christo, passando per le sperimentazioni percettive di Robert Smithson o gli atti simbolici di Alfredo Jaar. Ancor prima, e da sempre, poi, più in generale, l’arte si è interrogata sui suoi stessi confini, provando a stabilire cosa avesse “valore estetico-artistico” e cosa, invece, non l’avesse. Dopo Michel Duchamp, questa domanda sul confine slitta dal piano della separazione (c’è il bello e c’è il brutto) a quello della sfida perennemente aperta, dell’orizzonte continuamente rinegoziabile. Ora, il confine ha senso solo nella misura in cui può essere, più o meno violentemente, distrutto o risignificato.
In questa direzione, il collettivo GAIA, dopo aver riflettuto sui concetti di spazio, identità, corpo e animalità, ha avvertito la pressante necessità, anche alla luce dell’attuale temperie culturale e delle tese relazioni geopolitiche tra molti Paesi del mondo, di dedicare il suo nuovo allestimento proprio al concetto di confine che, già nella grafica di presentazione, si annuncia come una sorta di specchio linguistico infranto, riproducendosi, per gemmazione, dall’italiano all’ucraino e, così, al russo, dando inizio a una catena metaforicamente infinita. Più di 15 artisti, provenienti da Russia, Ucraina e Italia, condivideranno con noi le loro opere pittoriche, fotografie, disegni, video-installazioni, illustrazioni.
Degli spunti rigogliosi e sinceri per ragionare sui confini geografici e su quelli della psiche, sui confini della natura e su quelli della percezione, sui confini del corpo e su quelli della ragione. Senza pretesa d’esaustività, senza retorica alcuna, ma con il fermo desiderio di contribuire a spezzare, nel nostro piccolo, mediante il pretesto dell’arte, la lunga catena d’odio e d’oppressione, di rifiuto culturale e di ignoranza che, oggi, al confine tra Russia e Ucraina, sta seminando macerie, fisiche e culturali. Un confine, tra i mille altri esistenti, un confine tra i mille altri sciagurati e bollenti, un confine che, simbolicamente, dalle sue malconce latitudini, chiede al mondo intero l’abolizione di tutti i confini, territoriali e mentali. E noi, sospesi come siamo, tra un confine e l’altro, non possiamo che allenarci, ogni giorno, per (re-)imparare a camminare sulla soglia, tentando di trovare un equilibrio, come funamboli, con un braccio proteso verso un lato del confine e l’altro che già sfiora il lato opposto. Per sopravvivere, per non cadere nel vuoto. Umano e culturale.

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