Quasi la metà dei Comuni calabresi sono stati o sono interessati da procedure di criticità finanziarie. Il dato emerge dalla relazione della Corte dei Conti sulla finanza territoriale in Italia in sede di audizione alla Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale: il dato conferma plasticamente la situazione di grande difficoltà economica e finanziaria degli enti locali calabresi già “fotografata” dalla magistratura contabile regionale: conti in rosso e squilibri gestionali, queste le “patologie” che registrano i comuni della Calabria, accomunata in questo quadro negativo per la Corte dei Conti a Campania e Sicilia.
Dalla relazione per la Commissione sul federalismo «si evince la consistenza del fenomeno (65 casi) e la sua concentrazione territoriale in alcune regioni», appunto Sicilia (19), Campania (13) e Calabria (10, di cui 8 dissesti). Secondo le tabelle allegate alla relazione, in Calabria i Comuni con procedure attive sono 82 (di questi 54 con dissesti, 28 con riequilibri, più 19 in istruttoria), una percentuale pari al 20,3% del totale regionale (in Campania sono il 14,9%, in Sicilia il 23,3%) mentre i Comuni con procedure chiuse sono 116. In Calabria – prosegue la Corte dei Conti – sono in totale 200 (sui 404 complessivi) i Comuni «interessati da procedure di criticità finanziaria», con 292 procedure attivate: 42 i Comuni con procedure di riequilibrio finite in dissesto, 77 i Comuni che hanno attivato procedure di riequilibrio e 178 i Comuni che hanno attivato procedure di dissesto. «Sotto il profilo qualitativo – sostiene la Corte dei Conti – il fenomeno è ancora più rilevante in quanto coinvolge molti centri urbani importanti, tra cui numerosi capoluoghi di provincia – Avellino, Benevento, Caserta e Napoli in Campania, Catania, Messina, Palermo in Sicilia, Cosenza, Reggio Calabria e Vibo Valentia in Calabria». La magistratura contabile peraltro rileva anche «la scarsa efficacia della procedura di riequilibrio introdotta nel 2012. Nei 234 Comuni delle tre Regioni in cui è stata attivata si registra una percentuale di fallimenti (con conseguente dichiarazione di dissesto) di circa il 40 per cento – 39,7, con una punta del 54,5% in Calabria – corrispondente a 93 casi». C’è poi un altro vulnus, secondo la Corte dei Conti: «Il lungo tempo dell’istruttoria costituisce un forte elemento di criticità. Tra gli 80 casi registrati, per quanto riguarda la Calabria (su 17 casi dei 19 indicati) solo Terranova da Sibari, che ha appena approvato il Piano e Cetraro presentano un tempo di attesa inferiore ai 100 giorni. Negli altri casi il tempo trascorso è particolarmente elevato: a ridosso dei 1.000 giorni in 4 casi, tra 1.000 e 1.500 giorni in altri 4 e addirittura superiore a 2.000 (oltre 6 anni) in 5 casi. I Comuni di Simbario e Guardavalle chiudono la graduatoria con oltre 3.000 giorni di attesa… È evidente che il meccanismo vigente presenta, sotto questo profilo, una grave incongruenza, in quanto la tempestività dell’intervento costituisce un elemento essenziale per evitare il peggioramento della crisi finanziaria».
In ogni caso, dal monitoraggio della Corte dei Conti emerge in tutta evidenza la notevole fragilità del sistema delle autonomie locali calabresi sul piano contabile. A conferma di quanto emerso in occasione dell’ultima cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario della Corte dei Conti calabrese: in quell’occasione la sezione di controllo affermò che «il quadro complessivo della situazione finanziaria degli enti territoriali calabresi è preoccupante per l’elevato numero di essi che registra gravi criticità, che sono variamente graduate sino a sfociare in uno squilibrio strutturale finanziario determinante il ricorso alla procedura di riequilibrio o nell’ancor più grave impossibilità di svolgere le funzioni fondamentali o erogare i servizi indispensabili, cioè in un dissesto conclamato». Si specificò poi «una situazione di forte criticità per la quasi totalità dei Comuni dell’intero territorio regionale, evidenziate da risultati di amministrazione costantemente di segno negativo». Criticità che la magistratura contabile definiì «ricorrenti»: non corretta quantificazione del fondo pluriennale vincolato, assenza o inattendibilità dei cronoprogrammi di spesa, mantenimento in bilancio di residui attivi e passivi vetusti che avrebbero già dovuto essere cancellati in quanto insussistenti, irregolare contabilizzazione dell’anticipazione di liquidità e mancato accantonamento nel risultato di amministrazione, mancanza o inadeguatezza dell’accantonamento al fondo contenzioso, mancato o inadeguato accantonamento del fondo crediti di dubbia esibilità in sede di riaccertamento straordinario, percentuali basse di riscossione delle risorse, inefficienza dell’attività di contrasto all’evasione tributaria, sistematico ricorso alle anticipazioni di tesoreria, presenza di numerosi debiti fuori bilancio, con particolare riferimento ai debiti derivanti da sentenze esecutive, scarsa attendibilità delle previsioni di entrata». (c. a.)
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