ROMA Gennaro Gattuso si è raccontato in una lunga intervista al Corriere della Sera, partendo dalle accuse di razzismo degli ultimi giorni: «Non sono come mi descrivono sui social, queste accuse mi fanno soffrire. Si prendono dichiarazioni di anni diversi, le si isola dal contesto e si imbastiscono processi con l’obiettivo di delegittimare una persona, una vita. I tribunali sono cose serie: qualcuno accusa, qualcuno difende, qualcuno giudica. Qui il patibolo tecnologico si abbatte e definisce sentenze senza possibilità di appello. Io non sono un tipo da social. Se mi chiamano Ringhio, ci sarà un motivo. Non vado a caccia di facili consensi, non faccio il simpatico a comando. Sono uno che lavora, che ha sempre lavorato, che ha faticato tanto e che è grato alla vita per quello che gli ha dato».
«Quando sento dire che sono razzista mi sembra di impazzire -sottolinea il 44enne calabrese -. Nessuna persona, mai, può essere giudicata per il colore della pelle. Conosco tanti con la pelle bianca che non si comportano bene. Il razzismo va combattuto, sempre. Ho allenato decine di giocatori che avevano la pelle diversa dalla mia, nel mio ristorante ne lavorano tre, ho avuto compagni di squadra ai quali ho voluto bene. Per me non conta il colore della pelle, conta la persona. La sua onestà, la sua lealtà». Altra frase contestata a Gattuso risale al 2008, quando il centrocampista allora al Milan disse che per lui, cattolico, il matrimonio è tra uomo e donna: «Ma poi aggiunsi che per me ognuno è libero di fare come vuole. Ed è proprio quello che penso. Ogni libertà, compresa quella dei comportamenti sessuali, è benvenuta, è segno di progresso».
«Sono molto riconoscente al Milan. Se io sono quello che sono, lo devo a quella società, a quei colori che ho sempre amato. Non volevo essere un peso e volevo andare via in punta di piedi». L’ex allenatore del Milan Gennaro Gattuso torna con queste parole sulla fine della sua esperienza sulla panchina rossonera e sulla rinuncia a molti soldi per consentire il pagamento del suo staff. «La cifra? Cinque milioni e mezzo netti -dice il 44enne calabrese al Corriere della Sera -. Una parte è andata a pagare lo staff che altrimenti, con la mia uscita, sarebbe rimasto a piedi e non era giusto. Ma non mi è pesato più di tanto. Il Milan, da giocatore e da allenatore, mi ha trasformato la vita. Io non posso dimenticare quando, dopo la vittoria nella Champions del 1990 mio padre mi portò a sfilare in paese con la maglietta rossonera indosso. Ero fiero di indossarla, anche se, ovviamente era una replica, non una originale».
Qualcosa di simile a quanto accaduto a Pisa: «No lì i soldi ce li ho proprio messi, di tasca mia. Ma sono stato felice. Avevamo centrato una inaspettata e bellissima promozione in serie B e la società si trovava in difficoltà». Infine Gattuso parla della sua malattia all’occhio. «Anche qui non ho mai nascosto nulla. Ho, come tante persone, una malattia autoimmune che si chiama miastenia oculare. Ne soffro da tempo ma è assolutamente sotto controllo e non comporta alcuna limitazione al mio lavoro. Non ho nessun impedimento, tanto è vero che ho sempre allenato. E non male. Anche a Napoli, dove ho allenato grandi giocatori in una grande società».
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