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«Sulle cure palliative la Regione ha operato una scelta a favore dei privati»

L’unico hospice pubblico. I tre realizzati e mai entrati in funzione «perché vandalizzati». I danni all’Erario e ai pazienti. Parla la dottoressa Paola Serranò

Pubblicato il: 08/06/2022 – 7:04
di Emiliano Morrone
«Sulle cure palliative la Regione ha operato una scelta a favore dei privati»

REGGIO CALABRIA Paola Serranò coordina l’Unità di Cure palliative dell’Asp di Reggio Calabria. La sua parabola nel settore inizia a metà degli anni 90, in un’epoca che definisce «pionieristica» e attraversa tutte le fasi di un ambito di intervento essenziale per la sanità. Eppure, in Calabria, delegato in massima parte ai privati. In questa intervista, Corriere Suem prova a capire perché.

Mi racconta a modo suo la storia delle cure palliative in Calabria? Che ruolo ha il pubblico in questo ambito?
«Ho avuto il privilegio di introdurre le cure palliative in Calabria: nel 1996, all’interno del nucleo operativo direzionale per le cure domiciliari oncologiche, presso l’allora assessorato alla Sanità, quale corrispondente e poi coordinatrice della Società scientifica di cure palliative, che ancora oggi rappresento nel direttivo regionale coordinato dalla dottoressa Anna Tiziano. Ho vissuto l’epoca pioneristica delle cure palliative e dal 1994 al 2006 ho organizzato, all’interno della sezione reggina della Lega contro i tumori, un servizio domiciliare di cure palliative rivolto ai pazienti oncologici in fase terminale, in piena autonomia, senza alcuna convenzione con enti pubblici. Nel 1999 ho concorso a fondare, a Milano, la Federazione di cure palliative. Nell’anno 2000 ho partecipato alla stesura del primo programma regionale per la realizzazione degli Hospice, finanziati dalla Legge numero 39/1999.  Approvato dalla giunta regionale, questo programma prevedeva la realizzazione di sette hospice pubblici da collocare nei territori delle aziende sanitarie che avevano avviato un’esperienza, pur iniziale, di assistenza domiciliare. Nel 2006 iniziano a funzionare i primi due hospice pubblici: a Cassano e a Reggio Calabria. Con lo stesso finanziamento pubblico altri tre vengono realizzati, dopo qualche anno, a Melicucco, Siderno e Tropea, ma non sono mai entrati in funzione perché vandalizzati ed abbandonati, con un danno all’erario di circa un milione e mezzo di euro. Solo nel 2017, il dipartimento regionale accredita tre nuovi hospice, a Catanzaro, Sant’Andrea allo Ionio e Montalto Uffugo. Nel 2019, ne accredita un quarto a Crotone, ma si tratta di strutture tutte appartenenti ad enti privati».  

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CURE PALLIATIVE | L’hospice di Cassano, l’unico pubblico in Calabria

Che cosa è successo dopo? Perché ora la sanità pubblica è di fatto estromessa rispetto alle cure palliative?
«Oggi sono operativi sei Hospice in Calabria, di cui cinque privati ed uno solo pubblico, quello di Cassano. Sono troppo pochi rispetto a un fabbisogno stimato, che è di un modulo da otto posti ogni 100.000 abitanti. Anche l’hospice di Reggio Calabria, nato pubblico, è stato volturato nel 2013 all’ente privato Fondazione Via delle stelle, oggi ente accreditato. Non possiedo strumenti in grado di spiegare perché l’istituzione sanitaria regionale abbia deciso di modificare le sue scelte, formalmente adottate dieci anni prima dell’inizio della fase commissariale per il piano di rientro dal disavanzo. Lo squilibrio numerico tra hospice privati e pubblici è evidente. L’abbandono all’incuria dei tre hospice vandalizzati, non certamente dai cittadini residenti in quei Comuni, fa comprendere che la regione abbia operato una precisa scelta a favore dei privati, assegnando tariffe giornaliere temporanee, ancora in vigore dal 2017, che ammontano a 283 euro per giornata di ricovero e 100 euro per giornata di assistenza domiciliare. Sono tariffe considerate medio-alte, se paragonate a quelle in vigore in altre regioni».  

Qual è adesso la situazione, per quanto riguarda le cure palliative? Come sono gestite nel territorio regionale? Che risposte danno alla comunità calabrese? Quanti pazienti seguono? Quanti dovrebbero seguirne?
«Attualmente le cure palliative sono garantite solo dai sei hospice accreditati che, oltre a gestire 10 posti letto ciascuno di ricovero ordinario, offrono assistenza domiciliare a 40 pazienti al mese, fatta eccezione per Reggio Calabria, il cui tetto prestazionale a domicilio non può superare le 30 assistenze mensili. Su un fabbisogno stimato di 15.000 casi annui, ad oggi poco più di 3000 persone ricevono tali cure, che rappresentano un Livello essenziale di assistenza ad alta intensità assistenziale, multidisciplinare e continuativo; non solo per pazienti oncologici nella fase finale della vita ma pure per coloro che soffrono di patologie croniche ed evolutive ed anche nelle fasi precoci di malattia, sia per il miglioramento dell’efficacia delle cure che per il miglioramento della qualità di vita.
Il tasso di copertura di assistenza sanitaria che oggi la Regione garantisce a persone adulte e minori con malattie inguaribili è pari al 17%. È un dato esiguo, che colloca la Calabria all’ultimo posto della classifica nazionale. E pensare che negli anni 90 la nostra regione era annoverata tra le prime sette d’Italia per la promozione e lo sviluppo in ambito istituzionale della disciplina, nonostante non avesse ancora ottenuto un pieno riconoscimento giuridico e legislativo».   

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SPRECHI | L’hospice di Melicucco, mai entrato in funzione

Qual è il livello di collegamento tra i centri oncologici calabresi, le famiglie dei pazienti e gli hospice? Quali sono gli strumenti di assistenza personale e/o domiciliare di cui dispongono, in Calabria, i pazienti oncologici molto gravi e i loro familiari?
«La mancata istituzione della rete regionale e delle reti locali di cure palliative e dei servizi connessi, come l’assenza di protocolli d’intesa tra le Aziende ospedaliere e quelle territoriali non consente ancora una concreta integrazione funzionale tra strutture e luoghi di cura cui afferiscono i pazienti inguaribili. Di conseguenza, i cittadini potenziali fruitori, assieme alle loro famiglie, non hanno validi riferimenti territoriali.
Non sono state rese operative le strutture di coordinamento delle reti locali, che dovrebbero essere lo strumento operativo per garantire le prestazioni ed il funzionamento dei servizi. Si continua ad accogliere ancora troppe persone inguaribili presso strutture di degenza per acuti. La recente pandemia ha ulteriormente condizionato  questa unica via di fuga e molte persone, a casa come in ospedale, hanno maggiormente sofferto la solitudine e l’inadeguatezza delle cure.
I più gravi non trasportabili si rivolgono ai servizi Adi (Assistenza domiciliare integrata, nda) distrettuali, ma per l’esiguità delle loro risorse professionali non sempre possono soddisfare i bisogni complessi di queste persone. In area pediatrica sono circa un migliaio i minori che necessitano di riferimenti specialistici sul territorio regionale, purtroppo non istituiti. La quasi totalità di questi bambini è costretta a riferirsi costantemente a centri fuori regione, con un costo a carico del nostro Servizio sanitario di circa 30 milioni di euro all’anno, cui vanno aggiunti l’impegno economico che grava sulle loro famiglie e i disagi psicologici ed esistenziali».   

Qual è oggi, in tema di cure palliative, il rapporto tra pubblico e privato? Perché c’è uno sbilanciamento verso il privato? Non dovrebbe essere il pubblico a dare l’indirizzo, a coordinare, a fornire i servizi indispensabili? 
«Oggi, lo sbilanciamento verso il privato viene letto dalle fonti ufficiali come conseguenza del lungo periodo di commissariamento della sanità pubblica.
In molti, tra noi operatori sanitari, crediamo che pubblico e privato possano contribuire assieme ad offrire una valida offerta assistenziale nella nostra regione, a patto che il governo delle regole sia esclusivamente pubblico. Se così non fosse, faremmo meglio a scegliere di andare verso il sistema assicurativo. Oggi troppi cittadini sono costretti a pagare due volte le prestazioni sanitarie per loro necessarie». 

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INCONTRO | I componenti del Tavolo tecnico regionale per le cure palliative con il sub commissario Esposito

C’è da anni un tavolo tecnico sull’organizzazione delle Cure palliative. Che cosa ha fatto finora questo tavolo? Ha funzionato?
«Esiste dal 2011 un coordinamento regionale per le cure palliative e la terapia del dolore. C’è un tavolo tecnico, composto dai referenti medici delle singole aziende sanitarie, che ha stilato ed aggiornato tra il 2011 ed il 2015 le linee guida per la realizzazione dei servizi di cure palliative che le aziende non hanno mai adottato. Nel 2020 è stato nuovamente istituito il Tavolo, ma non è stato mai convocato. A gennaio scorso, superando un certo riserbo, assieme ai colleghi Roberto Squillace dell’Azienda ospedaliera di Catanzaro, Franco Bossio dell’Asp di Crotone e Francesco Curmaci del Gom di Reggio Calabria, abbiamo incontrato il sub-commissario Esposito e scritto al commissario Occhiuto, chiedendo di convocare il Tavolo. Tuttavia, ad oggi nessuna concreta risposta ci è pervenuta».

Che cosa si dovrebbe e potrebbe fare per garantire assistenza, sostegno e dignità ai pazienti oncologici, residenti in Calabria, che necessitano di cure palliative?
«L’istituzione regionale deve riconoscere l’urgenza di dare priorità a questa grave criticità assistenziale, inserita da oltre un decennio tra gli obiettivi di carattere prioritario del Piano sanitario nazionale. Inoltre, deve impegnare le risorse finanziarie necessarie all’assunzione di personale multidisciplinare dedicato. Questo per la composizione di équipe domiciliari distribuite presso ogni Distretto sanitario. Dal 2009 ogni Regione, compresa la nostra, ha ricevuto fondi finalizzati per realizzare i servizi e le strutture da destinare alle cure palliative. Decine di milioni di euro, assegnati alla Calabria, della fiscalità generale sono state molto parzialmente utilizzate a questo scopo.    
Credo che ogni amministratore debba avvertire il disagio nel veder collocata la regione che governa all’ultimo posto nella classifica nazionale. Il grado di civiltà di una comunità si misura dalla capacità di offrire aiuto ed assistenza ai più fragili, soprattutto se in condizioni di estremo bisogno. Non aver voluto, ostinatamente, sviluppare le cure palliative e la terapia del dolore presso le aziende sanitarie calabresi, ci obbliga a riflettere su questa affermazione. Siamo dunque, incivili? Sinora, purtroppo, i fatti sembrano andare in questa direzione». 

Che idea hanno i nuovi commissari nel merito? Come si sono comportati i loro predecessori
«I nuovi commissari sono a conoscenza del grave ritardo accumulato dai loro predecessori. Ma ritengo che siano alla ricerca di specifiche risorse finanziarie.
I predecessori hanno tenuto comportamenti consapevolmente omissivi, non sviluppando i servizi ai più fragili all’interno delle aziende sanitarie, nonostante le innumerevoli sollecitazioni pervenute loro da parte della società civile organizzata. 
In Calabria, nell’ultimo decennio, sono nate ed operano più di una decina di associazioni di volontariato a sostegno dei pazienti inguaribili. Tra queste, alcune garantiscono ad adulti e minori un competente supporto assistenziale».

Vuole lanciare un appello specifico?
«Vorrei rivolgere alla politica regionale l’invito ad abbandonare un modus operandi troppo verticistico, che non promuove il dialogo aperto ed il confronto costruttivo con tutti i soggetti che, a vario titolo e nei diversi ambiti, possono offrire il proprio libero contributo per la crescita e lo sviluppo della società. A chi è stato chiamato a governare questa Regione chiedo di impegnarsi a realizzare una politica di prossimità, fondata sulla relazione accogliente con tutti, senza pregiudizi, affinché le decisioni importanti che possono incidere sulla qualità di vita ed il benessere globale abbiano modo di scaturire dalla partecipazione diretta, consapevole e responsabile di tutti i cittadini; i soli, veri protagonisti di una società democratica». (redazione@corrierecal.it)

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