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L’anniversario

«Il rifiuto della violenza nel paradosso di Arancia Meccanica»

Poco più di 50 anni fa usciva nelle sale italiane, Arancia Meccanica, uno dei capolavori firmati da Stanley Kubrick, tratto dal libro di Anthony Burgess.Un film che ha attraversato mezzo secolo co…

Pubblicato il: 09/06/2022 – 15:35
di Mario Campanella*
«Il rifiuto della violenza nel paradosso di Arancia Meccanica»

Poco più di 50 anni fa usciva nelle sale italiane, Arancia Meccanica, uno dei capolavori firmati da Stanley Kubrick, tratto dal libro di Anthony Burgess.
Un film che ha attraversato mezzo secolo con le sue disambiguazioni non sempre codificate al punto che il titolo è divenuto erroneamente sinonimo di violenza di gruppo.
Il film narra le gesta di un trio londinese, i Drughi, dedito alla violenza più becera, capitanato da Alex, magistralmente interpretato da Malcom MC Dowell, che trascorre le notti passando da furti ad aggressioni di disabili, nutrito da una droga particolare.
Durante uno di questi vili attacchi e dopo avere ucciso barbaramente una donna Alex viene tradito dai suoi soci e finisce per essere arrestato.
In carcere, tra preti omosessuali e degrado, viene scelto come cavia per il programma Ludovico, una desensibilizzazione alla violenza cadenzata dalla nona sinfonia di Beethoven.
Gli occhi di MC Dowell fanno da splendida cornice alle immagini dell’esperimento che restituisce un’apparente libertà ad Alex, ormai reso impotente dalla cura di Stato.
Nella seconda parte del film Kubrick scaraventa sulla società organizzata tutto il suo j’accuse sulla violenza legalizzata.
I Drughi nel frattempo si sono arruolati nella polizia e possono tranquillamente continuare le loro violenze in divisa.
Alex è narcotizzato dalla cura Ludovico e non potrà reagire alle ritorsioni delle sue vecchie vittime.
Kubrick mostra il suo disprezzo verso la comunità evoluta, capace di utilizzare allo stesso modo la violenza come arma sistematica ma legittimata dalla sua forma istituzionale.
L’iperrealismo delle scene produsse critiche contrastanti.
Così come farà 15 anni dopo con Full Metal Jacket, il regista americano denuncia una corruzione dilagante dell’anima che prende possesso anche dei suoi stereotipi.
La differenza tra le gesta dei Drughi e l’involucro di Alex non si nota più e trionfa un pensiero unico legittimante che ingloba anche la violenza.
Alex non può più interagire con il mondo esterno e la sua visione della realtà non è altro che la nemesi perpetua della violenza.
Girando intorno a Beethoven e all’inno alla gioia Kubrick mostra una visione completamente nuova del cinema e la stupidità del male, centellinata in ogni suo frammento.
 L’unico riscatto possibile è nella bellezza e la musica diventa una sorte di oasi in mezzo alla radura del mondo.
Di difficile valutazione iniziale, come molti altri suoi film, Arancia Meccanica è la risposta a una disseminazione della brutalità, così come Full Metal sarà l’illustrazione della assurdità della guerra.
Kubrick si pone come cineasta di valore assoluto mostrando in anteprima la degenerazione di una società che non sa educare e impone, come dittatura subliminale, le sue inutili soluzioni.
Anche per questo, e pur nella sua drammatica esecuzione, Arancia Meccanica è un film da vedere, per reagire continuamente agli impulsi di un mondo che continua a preferire lo squallore alla bellezza.
*Giornalista

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