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Improcedibilità, la riforma che “salva” i colletti bianchi

“Report” racconta i numeri e i pericoli legati alla legge Cartabia. Gratteri: «Corruzione, concussione, peculato non arriveranno in appello»

Pubblicato il: 14/06/2022 – 12:18
Improcedibilità, la riforma che “salva” i colletti bianchi

CATANZARO E’ stato fin dall’inizio uno dei magistrati più critici della riforma sulla Giustizia. La riforma Cartabia è stata definita dal procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, «la peggiore riforma della storia». «Il prodotto finale – ha detto Gratteri in una intervista alla trasmissione di Rai3 “Report” – per alcuni versi è terribile. La cosa che mi rattrista che proprio da un po’ di anni stavamo riprendendo fiducia. C’è la fila per venire qui a denunciare. Io incontro ogni settimana 40/50 persone vessate dalla ‘ndrangheta, usurati, estorti. Penso che questa riforma non serva per risolvere i problemi e i drammi della gente».
La riforma Cartabia introduce il principio dell’improcedibilità che entrerà n vigore dal primo gennaio 2025: il processo d’appello potrà durare al massimo due anni e quello di Cassazione 12 mesi. Se si supera questo limite il procedimento decade, vale a dire che il processo finisce senza che venga emessa alcuna sentenza.

I problemi dell’improcedibilità in numeri

All’orizzonte si profila una lunga serie di processi che cadranno nel vuoto a causa dell’improcedibilità perché le Corti d’Appello sono oberate di lavoro e scarseggiano i magistrati. Tanto che il presidente della Corte d’Appello di Napoli, Giuseppe De Carolis, lo dice chiaramente: «Con le attuali risorse non siamo in condizione di fare processi in così poco tempo perché la massa dei procedimenti è enorme». In sostanza, spiega, con una battuta, che se prima si cercava di svuotare il mare con un cucchiaino, adesso, invece di fornire un cucchiaio più grande, il cucchiaino l’hanno pure bucato. Sono i numeri a dare il senso della difficoltà. Per De Carolis un giudice non può, comprensibilmente, andare oltre le 300 sentenze all’anno: «C’è bisogno di studiare gli atti, non è come sfornare una pizza». I carichi di lavoro rischiano di obbligare i giudici a scegliere quali procedimenti mandare in prescrizione. E i numeri segnano profonde differenze territoriali. Se a Milano, per fare un esempio, sono attualmente in corso 8mila processi penali, a Napoli sono attualmente aperti 57mila procedimenti penali. Ogni giudice campano ha in media 1500 procedimenti pendenti.
Il problema sta anche nella distribuzione delle risorse: se alla Corte di Appello di Milano ci sono 150 giudici per 8000 procedimenti e quindi ogni giudice ha una media di 53 processi penali, a Napoli i giudici sono 39 per 57mila procedimenti. E con queste cifre è abbastanza chiaro che l’improcedibilità rischia di essere una mannaia.

La legge che salva i processi ai colletti bianchi

E non basta che il ministro Marta Cartabia abbia salvato dalla “tagliola” dell’improcedibilità reati come quelli di mafia, l’omicidio e la violenza sessuale aggravata. Esistono reati altrettanto importanti che rischiano di finire nel nulla come gli omicidi colposi che comprendono tutti gli omicidi sul lavoro. «Il 50% di questi processi in appello non si celebrerà – dice il procuratore Nicola Gratteri – lo hanno detto i procuratori generali delle Corti d’Appello». Senza contare «tutti i processi in materia di inquinamento. Eppure questo governo – rimarca Gratteri – ha dedicato un ministero alla Transizione ecologica. E i reati contro la pubblica amministrazione non vi scandalizzano? Corruzione, concussione, peculato. Perché non sono reati gravi? E sono anche processi senza detenuti. Metà di questi – rimarca Gratteri – non arriveranno in appello». A rischiare questa “tagliola” non sono solo i processi ai colletti bianchi ma anche la giustizia che su deve ai morti sul lavoro, i morti per incidenti stradali e i morti in tragedie come il Ponte Morandi e il Mottarone.
Si rischia l’impunità su reati come la truffa. Un vero e proprio danno sociale.

In Italia sette anni per una sentenza definitiva

Il Pnrr ha vincolato 190 miliardi di euro alla riduzione della durata dei processi. In Italia ci sono un milione e 600mila processi pendenti. Per avere una sentenza definitiva in Italia bisogna aspettare in media 7 anni, contro i tre di Spagna e Francia e i 377 giorni della Svizzera. (redazione@corrierecal.it)

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