CATANZARO E’ stato fin dall’inizio uno dei magistrati più critici della riforma sulla Giustizia. La riforma Cartabia è stata definita dal procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, «la peggiore riforma della storia». «Il prodotto finale – ha detto Gratteri in una intervista alla trasmissione di Rai3 “Report” – per alcuni versi è terribile. La cosa che mi rattrista che proprio da un po’ di anni stavamo riprendendo fiducia. C’è la fila per venire qui a denunciare. Io incontro ogni settimana 40/50 persone vessate dalla ‘ndrangheta, usurati, estorti. Penso che questa riforma non serva per risolvere i problemi e i drammi della gente».
La riforma Cartabia introduce il principio dell’improcedibilità che entrerà n vigore dal primo gennaio 2025: il processo d’appello potrà durare al massimo due anni e quello di Cassazione 12 mesi. Se si supera questo limite il procedimento decade, vale a dire che il processo finisce senza che venga emessa alcuna sentenza.
All’orizzonte si profila una lunga serie di processi che cadranno nel vuoto a causa dell’improcedibilità perché le Corti d’Appello sono oberate di lavoro e scarseggiano i magistrati. Tanto che il presidente della Corte d’Appello di Napoli, Giuseppe De Carolis, lo dice chiaramente: «Con le attuali risorse non siamo in condizione di fare processi in così poco tempo perché la massa dei procedimenti è enorme». In sostanza, spiega, con una battuta, che se prima si cercava di svuotare il mare con un cucchiaino, adesso, invece di fornire un cucchiaio più grande, il cucchiaino l’hanno pure bucato. Sono i numeri a dare il senso della difficoltà. Per De Carolis un giudice non può, comprensibilmente, andare oltre le 300 sentenze all’anno: «C’è bisogno di studiare gli atti, non è come sfornare una pizza». I carichi di lavoro rischiano di obbligare i giudici a scegliere quali procedimenti mandare in prescrizione. E i numeri segnano profonde differenze territoriali. Se a Milano, per fare un esempio, sono attualmente in corso 8mila processi penali, a Napoli sono attualmente aperti 57mila procedimenti penali. Ogni giudice campano ha in media 1500 procedimenti pendenti.
Il problema sta anche nella distribuzione delle risorse: se alla Corte di Appello di Milano ci sono 150 giudici per 8000 procedimenti e quindi ogni giudice ha una media di 53 processi penali, a Napoli i giudici sono 39 per 57mila procedimenti. E con queste cifre è abbastanza chiaro che l’improcedibilità rischia di essere una mannaia.
E non basta che il ministro Marta Cartabia abbia salvato dalla “tagliola” dell’improcedibilità reati come quelli di mafia, l’omicidio e la violenza sessuale aggravata. Esistono reati altrettanto importanti che rischiano di finire nel nulla come gli omicidi colposi che comprendono tutti gli omicidi sul lavoro. «Il 50% di questi processi in appello non si celebrerà – dice il procuratore Nicola Gratteri – lo hanno detto i procuratori generali delle Corti d’Appello». Senza contare «tutti i processi in materia di inquinamento. Eppure questo governo – rimarca Gratteri – ha dedicato un ministero alla Transizione ecologica. E i reati contro la pubblica amministrazione non vi scandalizzano? Corruzione, concussione, peculato. Perché non sono reati gravi? E sono anche processi senza detenuti. Metà di questi – rimarca Gratteri – non arriveranno in appello». A rischiare questa “tagliola” non sono solo i processi ai colletti bianchi ma anche la giustizia che su deve ai morti sul lavoro, i morti per incidenti stradali e i morti in tragedie come il Ponte Morandi e il Mottarone.
Si rischia l’impunità su reati come la truffa. Un vero e proprio danno sociale.
Il Pnrr ha vincolato 190 miliardi di euro alla riduzione della durata dei processi. In Italia ci sono un milione e 600mila processi pendenti. Per avere una sentenza definitiva in Italia bisogna aspettare in media 7 anni, contro i tre di Spagna e Francia e i 377 giorni della Svizzera. (redazione@corrierecal.it)
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