L’adagio calabrese, meglio fesso che sindaco, è stato preso in parola da Mario Adinolfi, candidato alla guida dell’isola di Ventotene al grido indignatissimo: «non si fanno più figli». Egli si è trovato con zero preferenze, una in meno della lista nemica del Partito gay-Lgbt.
L’avventura politica di Mario Adinolfi, leader di un clericalismo integralista e medievale, è naufragata prima di raggiungere l’isola Pontina.
Il leader del partito della famiglia ha commentato: “Ho provato a forzare modalità para-mafiose del voto nei piccoli centri meridionali. Ho perso”. Sul fronte opposto, il Partito Gay ha ottenuto un solo voto per l’aspirante primo cittadino Luca Vittori. Alla fine è stato eletto sindaco l’ex segretario comunale Carmine Caputo. L’usato sicuro.
Se n’è fatta una ragione il naufrago: «Niente, a Ventotene non mi ha votato neanche il mio cane».
L’isola è famosa per essere stata il luogo dove furono spedite in esilio – e in qualche caso alla morte – figlie, nipoti e mogli ripudiate di imperatori: Giulia, figlia di Augusto; Agrippina, nipote di Tiberio; Ottavia, moglie di Nerone. L’isola, 708 anime in provincia di Latina (quanto un piccolo condominio), è anche famosa per aver dato il nome al “Manifesto di Ventotene”, che aveva come titolo originale “Per un’Europa libera e unita. Progetto d’un manifesto”. Cioè, un documento per la promozione dell’unità europea scritto da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi nel 1941 durante il periodo di confino presso, appunto, l’isola di Ventotene, per poi essere pubblicato da Eugenio Colorni, che ne scrisse personalmente la prefazione. È oggi considerato uno dei testi fondanti dell’Unione europea.
x
x