MILANO Il «riferimento all’origine calabrese dei destinatari dei biglietti» che, secondo l’accusa, l’ultrà avrebbe preteso «non può dirsi di per sè minaccioso». È uno degli elementi con cui la Corte d’Appello di Milano ha smontato il verdetto di primo grado e ha assolto, il 4 aprile scorso, «perché il fatto non sussiste» Loris Grancini, storico capo dei Viking, gruppo della curva della Juventus, condannato in primo grado nel dicembre 2019 a 5 anni e mezzo per tentata estorsione.
I giudici della terza sezione (Gazzaniga-Gargiulo-Lai) hanno assolto, oltre a Grancini, difeso dal legale Luca Ricci, anche altri due ultras, Christian Mauriello (5 anni in primo grado) e Christian Fasoli (che era stato condannato a 4 anni), difesi entrambi dall’avvocato Marco Ventura.
Grancini, assieme agli altri, secondo l’accusa, avrebbe minacciato il titolare di una società milanese di eventi sportivi per costringerlo «a procurare loro biglietti» con una «corsia preferenziale» per le partite della “vecchia signora”, tra cui un match di Champions tra Juve e Real Madrid del 2015. In relazione a quest’ultimo episodio, fa notare la Corte, il titolare del punto vendita «non deve essersi» sentito molto intimorito «dalle frasi pronunciate da Grancini se non ha sporto alcuna querela per ben due anni». Per i giudici, poi, «non aveva alcun fine logico tenere condotte minacciose, allo scopo di ottenere la consegna di biglietti che erano già stati annullati, su richiesta della società». In pratica, per la Corte non ci sono riscontri alle dichiarazioni e accuse mosse dalla parte civile e, tra l’altro, non può ritenersi una minaccia quella frase del 2017 («per dei conoscenti calabresi») con cui Grancini avrebbe chiesto ticket per la partita Juve-Crotone. Anche il «gesto di mimare l’uso di una pistola – spiega ancora la Corte – non è affatto emerso dall’esame delle riprese di videosorveglianza».
x
x