Qualche mese fa, il Movimento Officine del Sud aveva espresso il timore che il disegno di legge sull’autonomia differenziata, all’epoca apparso nella Nota Aggiuntiva al Documento di Economia e Finanza 2021, presentato nel collegato alla legge di Bilancio, venisse approvato, senza neppure passare in Parlamento, con tutte le conseguenze nefaste per le diseguaglianze che avrebbe prodotto. Sventato il pericolo, la stessa perplessità si ripropone oggi, alla vigilia di scadenze elettorali, amministrative (in questa fase) e politiche fra qualche mese.
In particolare, con la legge quadro predisposta dalla Ministra per gli Affari Regionali, Mariastella Gelmini, si rispolvera il criterio della spesa storica, per stabilire la ripartizione delle risorse, anche se la stessa legge persegue l’obiettivo di garantire in tutte le regioni i Livelli essenziali di prestazioni (Lep), al fine di assicurare uguali diritti a tutti i cittadini. Ci si chiede, a tal proposito, in che modo questo potrà accadere se le Regioni del Mezzogiorno hanno un PIL pro capite inferiore del 75% rispetto alla media europea, mentre le regioni del nord rivendicano di trattenere il loro gettito fiscale per finanziare i loro servizi. Perché, ancora oggi, non si definiscono i livelli essenziali delle prestazioni e non si stabilisce il fondo perequativo per permettere di raggiungere un livello uniforme dei servizi in tutta Italia? Ed ancora, perché non vengono definite prima le materie che devono rimanere di pertinenza statale (vedi scuola, trasporti ecc) per poi stabilire accordi con le singole Regioni sulle materie di cui chiede l’autonomia? Siamo sicuri che trattando singolarmente con le realtà regionali, non sorgerebbero problemi irrisolvibili legati a confini o a specificità territoriali assimilabili? Bisogna, inoltre, capire il motivo per il quale i fondi del PNRR non vengono, prioritariamente, assegnati per la perequazione infrastrutturale delle regioni del Sud Italia e perché i fondi strutturali vengono spesso utilizzati in sostituzione di quelli ordinari, togliendo così ulteriori risorse alle Regioni meridionali.
Come si evince, sono tanti gli interrogativi non chiariti dalla bozza della legge quadro che si vorrebbe far approvare in Parlamento, senza nemmeno la possibilità di essere emendata. Così facendo, i diritti delle regioni del Sud, legati alle risorse che il territorio produce, saranno sempre inferiori rispetto a quelli delle regioni del Nord, dove la concentrazione dei redditi elevati porta ad avere alte entrate tributarie che permettono servizi più efficienti nel campo assistenziale, scolastico, infrastrutturale. L’autonomia differenziata, cosi intesa, oltre a violare la Costituzione, rischia di mettere in discussione l’unità della Repubblica che, dopo 160 anni, non è riuscita ad arrivare all’unificazione economica. Ma se, in attuazione dell’art. 116 della Costituzione, la riforma delle Autonomie non è più rinviabile, perché non ripartire dai contenuti della Risoluzione del Consiglio regionale della Calabria del gennaio 2019, con la quale il Consiglio regionale dava impulso ad una iniziativa legislativa da presentare direttamente alle Camere, finalizzata ad un “regionalismo solidale”, nonché a promuovere una Conferenza degli Uffici di Presidenza dei Consigli regionali di Campania, Basilicata, Abruzzo, Molise e Puglia, al fine di perseguire ogni migliore convergenza tra le Regioni del Meridione? Sarebbe una sfida democratica e coraggiosa, a dimostrazione del fatto che il Sud Italia non ha paura dell’Autonomia differenziata, né tantomeno intende nascondersi con battaglie di retroguardia. Si avrebbe modo, invece, di dimostrare come il Mezzogiorno sia la più grande risorsa dell’Italia.
*Movimento Officine del Sud
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