Qualche giorno fa, con il mio amico Gianni Speranza, per una di quelle strane cose che Jung chiamava “coincidenze acausali significative”, abbiamo ricordato quando Papa Benedetto XVI venne in Calabria. Era l’ottobre del 2011, e Gianni – allora sindaco di Lamezia Terme – dovette tenere il discorso di benvenuto, dopo il quale il papa lesse il suo discorso istituzionale. Subito dopo però, il Papa volò in elicottero a Serra San Bruno, dove fece visita (come il suo predecessore Giovanni Paolo II) al locale convento di clausura della Certosa e recitare i vespri insieme ai monaci. Lì, dopo il saluto del priore dell’epoca dom Jacques Dupont (che mi onorò della sua amicizia per via della comune passione per il camminare e pregare in montagna – sì, anche i certosini lo fanno, una volta la settimana, in quello che chiamano “spaziamento”! -), Ratzinger fece invece, un discorso molto più profondo, spirituale, “religioso”, toccando temi divenuti attualissimi. Del discorso di Benedetto XVI in Certosa mi colpì il riferimento che il Papa fece alla “mutazione antropologica”, una locuzione creata da Pier Paolo Pasolini negli anni Settanta durante la sua famosa polemica contro l’abiura dei valori dell’antica civiltà contadina del nostro Paese per abbracciare acriticamente il consumismo e l’edonismo della società industriale. Il discorso di Ratzinger alla Certosa si può ancora ascoltare, dal trentesimo minuto in avanti, della registrazione che la Televisione Vaticana fece di quell’evento sul link di You Tube https://www.youtube.com/watch?v=yzuERxCQ_M0 (e comunque si trova ancora, in forma scritta, in Internet, come tutti i discorsi del papa). Ecco il passaggio del discorso del papa che colpì la mia attenzione: “Il progresso tecnico, segnatamente nel campo dei trasporti e delle comunicazioni, ha reso la vita dell’uomo più confortevole ma anche più concitata, a volte convulsa. […] Negli ultimi decenni, poi, lo sviluppo dei media ha diffuso e amplificato un fenomeno che già si profilava negli anni Sessanta: la virtualità che rischia di dominare sulla realtà. […] I più giovani […] sembrano voler riempire di musica e di immagini ogni momento vuoto, quasi per paura di sentire, appunto, questo vuoto. Si tratta di una tendenza che […] ha raggiunto un livello tale da far parlare di mutazione antropologica.” Poiché la citazione da Pasolini, benché questi non venne nominato nel discorso, era clamorosa, andai a rileggermi alcuni articoli apparsi fra il dicembre del 1975 ed il luglio del 1974 di Pasolini stesso oggi raccolti nel volume della Feltrinelli “Scritti corsari”. Ed ecco qui il testo da me ricavato assemblando frasi proprio da quegli articoli: “La tolleranza della ideologia edonistica […] è la peggiore della storia umana. Come si è potuta esercitare tale repressione? Attraverso due rivoluzioni […] la rivoluzione delle infrastrutture e la rivoluzione del sistema d’informazioni. […] Ma la rivoluzione del sistema d’informazioni è stata ancor più radicale e decisiva. Per mezzo della televisione, il Centro ha assimilato a sé l’intero paese, che era così differenziato e ricco di culture originali. […] La cosa in realtà è enorme: è un fenomeno […] di mutazione antropologica. […] L’ansia di consumo è un’ansia di obbedienza a un ordine non pronunciato.” La somiglianza dei due brani è impressionante. Ma quel che stupisce è che nessun vaticanista o commentatore se ne sia mai accorto e abbia valorizzato l’allarme lanciato in quell’occasione da Benedetto XVI (e, molto prima, da Pasolini) contro le storture della società dei consumi: l’omologazione culturale, la perdita valoriale, l’azzeramento della diversità e dell’identità, la nascita di una “civiltà” consumistico-edonistica, l’angoscia esistenziale dei giovani.Quando scrivo di “coincidenza” a proposito di questo ricordo evocato dalla chiacchierata con Gianni Speranza, mi riferisco alla straordinaria attualità dell’intuizione pasoliniana richiamata, non a caso, da Papa Ratzinger.Guardiamo a quel che abbiamo sotto gli occhi in questi tempi: masse di diseredati, colpiti da guerre, carestie, crisi economiche che solcano vecchie e nuove rotte migratorie in tutto il mondo; il decantato stile di vita dell’Occidente opulento sempre più bistrattato da una crisi economica che non è più ciclica ma permanente e sistemica; la “decrescita” di cui scrisse Serge Latouche, attaccato con i peggiori epiteti dagli economisti acritici, divenuta realtà; debiti di persone e nazioni senza alcuna seria prospettiva di poter essere onorati.A questo ci ha portato la “mutazione antropologica” di cui parlarono Pier Paolo Pasolini e Benedetto XVI. Ecco il perché, forse, di quell’insistere, di due papi, in poco più di vent’anni, a voler far visita ai monaci di clausura della Certosa, che vivono di solitudine, di preghiera, di amore, di sobrietà e di umiltà, che sono per gran parte i valori della civiltà contadina cui si riferiva Pasolini. Forse perché San Bruno di Colonia, il fondatore dell’ordine, aveva scritto in una lettera all’amico Rodolfo il Verde parole profetiche: “Qui si pratica un ozio laborioso e si riposa in un’azione quieta. […] Che se sarai desideroso di successo e di gloria e se desidererai avere una numerosa servitù, non bastandoti ciò che legittimamente possiedi, non sarai forse costretto a sottrarre in qualche modo agli uni ciò che elargirai agli altri? Il che non significa essere benefico o liberale. Niente, infatti, è liberale se al tempo stesso non è giusto”. Mi piace pensare che la “casuale” evocazione – da parte di Gianni e da parte mia – di quel piccolo-grande momento di storia calabra che fu la visita di Papa Benedetto XVI abbia avuto una sua “sincronicità” come direbbe Jung. E che sia valsa a farmi ricordare come Pasolini, prima, e Ratzinger, più tardi, abbiano voluto avvertire, con le stesse parole e lo stesso accorato allarme, che la Terra ha bisogno di più spiritualità, più etica, più giustizia, ancor prima che di liberi mercati e di crescita economica infinita.
* Avvocato e scrittore
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