LAMEZIA TERME I fari degli investigatori di mezzo mondo sono puntati sulla “Triple Frontera”, il confine tra Paraguay, Brasile e Argentina. Vittorio Rizzi, vice capo della polizia e direttore della Criminalpol, lo considera un laboratorio criminale: entrano singoli clan di narcotrafficanti, ne escono «alleanze trasversali». Non si “cucinano” droghe sintetiche ma organizzazioni criminali.
«Nella zona della “Triple frontera” – dice – operano tutte le mafie, i cartelli colombiani e sudamericani, la Yakuza e ovviamente anche la ‘Ndrangheta, che resta uno dei principali player del narcotraffico del mondo». Non è più un allarme ma la fotografia della realtà: i clan calabresi hanno strumenti e risorse per “governare” sul commercio globale di cocaina. Siamo davanti, però, a uno step successivo: la coesistenza delle mafie lungo il triplo confine pone una «minaccia globale alla quale bisogna rispondere con una cooperazione globale». Con la ‘Ndrangheta al centro di traffici, rapporti, operazioni di riciclaggio. La “Triple Frontera” è considerata un «portafogli di economia illegale», spiega a Repubblica Nestor Rosania, esperto in conflitti armati colombiano, direttore del Centro de Estudios en Seguridad y Paz. Nell’enorme business della droga, la produzione è soltanto una parte. Il grosso è il riciclaggio, che non avviene nei Paesi in cui si “cucinano” gli stupefacenti (Colombia, Perù e Bolivia) ma in Paesi terzi. In questa prospettiva, il confine tra Argentina, Brasile e Paraguay è considerato dagli investigatori la piattaforma ideale. E la ‘Ndrangheta – di nuovo: non si tratta di un allarme ma di un fatto acclarato – ha un ruolo di primo piano nel reinvestimento su base globale dei proventi del narcotraffico. E ha un fatturato sostanzialmente impossibile da stimare: c’è chi azzarda 60 miliardi di euro.
Per dirla con il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, le mafie potrebbero addirittura permettersi di snobbare la valanga di fondi in arrivo con il Pnrr. «Il volume di affari di cui si parla riguardo alle dinamiche criminali evolute che cerchiamo di ricostruire – ha spiegato il magistrato reggino in un recente convegno – è di circa 220 miliardi all’anno: gli 11 miliardi del Pnrr sono particolarmente appetibili ma il problema è di portata ben più vasta e certamente va parametrato a una capacità economico-finanziaria che è venti volte superiore… all’anno».
La relazione annuale della Direzione centrale per i servizi antidroga traccia vecchie e nuove rotte del traffico di droga e aggiunge bandierine al risiko della colonizzazione economica messa in piedi dalla ‘ndrangheta. La prima: l’Austria, «pur non risultato tra i principali Paesi di produzione e commercio di sostanze stupefacenti nel panorama globale», emerge «per la crescente presenza della criminalità organizzata italiana, con particolare riguardo a soggetti legati alla ‘ndrangheta, dediti all’attività di riciclaggio ed al reinvestimento di capitali illeciti». Una marea di soldi, «frutto preponderante di narcotraffico», che «vengono investiti nei settori dell’edilizia, della ristorazione, dell’import-export, dei trasporti, dei giochi e delle scommesse attraverso una fitta rete di prestanome». Seconda “bandierina”: la Turchia, dove «sono emersi collegamenti con sodalizi di matrice ‘ndranghetista, sia per quanto riguarda il traffico degli stupefacenti, sia per il riciclaggio dei relativi proventi». È territorio di conquista anche il Portogallo, che figura nell’elenco dei 50 Stati caratterizzati da bassa criminalità e alta resilienza nel contrasto ai fenomeni criminali associativi. Eppure «con riferimento alla ‘ndrangheta, è stata rilevata la presenza di esponenti della stessa a Setúbal, a Faro e nell’Algarve». Fenomeno mondiale, appunto.
Ancora Rizzi commenta i risultati del lavoro i Ican (Italian contrast against ‘ndrangheta), progetto che segna il nuovo approccio al contrasto delle mafie su base globale. Un lavoro che ha portato alla cattura di 26 latitanti in 18 mesi di attività grazie al coordinamento tra le polizie di mezzo mondo. E che ha confermato la presenza della ‘ndrangheta in 22 paesi dei 37 europei. «La prova tangibile – spiega il vice capo della polizia – che è la padrona del mondo».
Se nazioni come il Portogallo sono importanti nel domino criminale perché rappresentano piattaforme logistiche che collegano i Paesi produttori di cocaina con l’Europa, il Sud America è il principio del business. Per farlo funzionare bisogna individuare le crepe nel funzionamento delle amministrazioni pubbliche e dei controlli. E la “Triple Frontiera” è un ventre molle, dove gli uomini delle mafie hanno libertà quasi totale di movimento. «Da anni – si legge ancora nella relazione – è considerata un “punto caldo” per le attività criminali, che vanno dal rilevante traffico di droga ed armi, al contrabbando di merci, al furto di proprietà intellettuale, alla falsificazione di documenti e denaro. La zona è considerata un centro di riciclaggio di denaro per il finanziamento della criminalità organizzata». L’analisi confluita nel rapporto arriva dall’Argentina e segnala che «la vicinanza di tre città al valico di frontiera, Foz do Iguaçu in Brasile, Ciudad del Este in Paraguay e Puerto Iguazú in Argentina, facilita le attività illecite, la presenza di organizzazioni criminali e di gruppi terroristici, che sfruttano le “vulnerabilità delle pubbliche amministrazioni locali”».
Alla ‘ndrangheta si intrecciano vicende e connessioni emerse negli ultimi anni in Sud America. Vicende che hanno come sfondo il “laboratorio criminale” il cui perimetro si inscrive all’incrocio dei fiumi che segnano i confini tra Brasile, Paraguay e Argentina. «Le indagini concluse testimoniano le interconnessioni degli interessi criminali dell’organizzazione mafiosa calabrese». Interessi ormai consolidati da anni. «In proposito, è possibile collegare alcuni significativi eventi, come l’arresto, presso la Triple Frontera, nel settembre del 2014, del boss di ‘ndrangheta Pantaleone Mancuso, fermato con al seguito 140mila dollari in contanti». E poi «la detenzione in Brasile del boss Nicola Assisi e del figlio Patrick, legati alla ‘ndrangheta torinese, che viaggiava costantemente in Paraguay con un passaporto argentino sotto falsa identità ed era coinvolto in traffici di droga con il Primeiro Comando da Capital, la più grande organizzazione criminale brasiliana, con circa 35mila membri a livello internazionale, le cui principali aree di attività sono San Paolo e proprio la Triple Frontera».
«Al riguardo – si legge ancora nella relazione –, si possono aggiungere i contatti dei tre latitanti di ‘ndrangheta, arrestati in Argentina durante l’Operazione contro il narcotraffico internazionale “Magma”, coordinata dalla Dda di Reggio Calabria, nel luglio 2020, con il “Super Boss” Rocco Morabito, arrestato per la prima volta in Uruguay dopo 24 anni di latitanza, alla fine del 2017. Riuscito a fuggire rocambolescamente dal carcere di Montevideo, meno di due anni dopo, grazie ad una rete di corruzione, tuttora oggetto di indagine da parte dell’Autorità Giudiziaria Uruguaiana, Morabito è stato definitivamente arrestato, in Brasile, lo scorso maggio, insieme ad un altro latitante narcotrafficante di ‘ndrangheta, Vincenzo Pasquino. Dall’analisi operativa effettuata nell’area del Sud America, emerge chiaramente come l’invio di droga verso le principali rotte internazionali citate non potrebbe avvenire senza la presenza di una efficiente struttura criminale, in grado di assicurare la logistica necessaria per tutte le attività richieste da questo traffico transnazionale: produzione, stoccaggio, lavorazione, trasporto nazionale e internazionale. Esaminando le convergenze info-investigative emergenti, è verosimile ritenere che la ‘ndrangheta possa avere interessi malavitosi interconnessi con altre organizzazioni criminali nell’area compresa tra Paraguay, Argentina, Uruguay e Brasile».
E anche in Cile, altra terra di confine dalla quale sarebbero partiti 932 chilogrammi di cocaina nascosti in confezioni di molluschi e sequestrati nel novembre 2020 nel porto di Gioia Tauro.
Non si arriva per caso ad avere un ruolo nel laboratorio della Spectre del crimine mondiale. La rete delle relazioni intessute dalla ‘ndrangheta ha una trama fitta, un disegno coltivato per decenni. Quelli in cui i clan calabresi si sono affermati come partner d’affari per i cartelli messicani. Sono nove i gruppi organizzati identificati dal Servizio di Ricerca del Congresso degli Stati Uniti d’America: il Cartello di Sinaloa, Los Zetas, Tijuana/Arellano Felix Organization (AFO), Juárez/Vicente Carrillo Fuentes Organization (CFO), Beltrán Leyva, Golfo, La Familia Michoacana, i Cavalieri Templari e il Cartel Jalisco Nueva Generación (CJNG).
«Il primo – appunta la Direzione centrale per i Servizi antidroga – sarebbe presente in almeno 23 dei 32 Stati messicani e in 50 Paesi nel mondo e attivo principalmente nel traffico di droga (marijuana, eroina, cocaina e metamfetamine), nel riciclaggio di denaro, nel traffico di armi e nella falsificazione di documenti, con stretti legami con i produttori colombiani di cocaina e con la ‘ndrangheta calabrese». Dalla ‘ndrangheta si deve passare perché «il mercato europeo è uno sbocco importante ed è raggiungibile grazie alle infrastrutture portuali del nord del Paese e ai collegamenti consolidati con i referenti della citata organizzazione calabrese e dei network balcanici». Ecco le rotte: «le principali spedizioni, attraverso container, partono dai porti del Pacifico e, attraverso lo stretto di Panama, fanno rotta verso i Paesi del Nord Europa o del Mediterraneo, oppure verso le Coste dell’Africa Occidentale», altro grande “buco nero” per i controlli sul narcotraffico.
Su una di queste rotte, con arrivo a Trieste, le forze dell’ordine hanno intercettato ai primi di giugno un carico da 4,3 tonnellate di cocaina partito dalla Colombia e “commissionato” da referenti calabresi. «Questa droga apparteneva a [Jesús Ávila Villadiego] Chiquito Malo, uno dei capi delle strutture atomizzate degli Urabeños», ha detto il direttore della polizia colombiana Jorge Luis Vargas in un tweet (sotto). «È la più importante operazione transnazionale contro il traffico di cocaina quest’anno».
Con autoridades de #EEUU, España e Italia acabamos de realizar la operación transnacional más importante de este año contra el narcotráfico de cocaína, perteneciente al ‘Clan del Golfo’: incautadas 4,3 toneladas del alcaloide y capturadas 38 personas, 20 de ellas en #Colombia. pic.twitter.com/7XEJw1CwoY
— General Jorge Luis Vargas Valencia (@DirectorPolicia) June 7, 2022
L’operazione, secondo InSight Crime, testata che analizza le interconnessioni tra le mafie in Sud America, prova la persistenza dei contatti tra la ‘Ndrangheta e gli Urabeños, che risalgono agli anni 90, quando quelli che sarebbero diventati i capi della gang colombiana erano parte delle milizie paramilitari Auc (Autodefensas unida de Colombia). Quell’alleanza aiutò calabresi e colombiani a prendere le redini del traffico di cocaina. Se i clan sono riusciti a tramandare il loro potere, gli Urabeños che avevano stretto contatti con le ‘ndrine sono quasi tutti scomparsi, morti o in arresto. La partnership, però, è continuata. Lo prova il maxi sequestro da 4,3 tonnellate e anche il viaggio compiuto da alcuni emissari della ‘Ndrangheta nel nord della Colombia nell’ottobre 2021, dove i calabresi avrebbero mediato l’acquisto di quasi una tonnellata di cocaina, secondo un’inchiesta di “El Colombiano”. A Turbo, capitale del clan del Golfo, gli emissari delle cosche si sarebbero incontrati con il nuovo leader del gruppo, Chiquito Malo, successore di Dairo Antonio Úsuga, alias “Otoniel,” storico alleato delle ‘ndrine in Sud America. Segno che certi legami continuano. Sull’altra sponda dell’Atlantico gli equilibri mutano spesso, ma i calabresi restano un punto di riferimento costante. «Da anni – segnala il rapporto del ministero dell’Interno – si hanno evidenze circa la presenza di cellule della ‘ndrangheta» in Colombia. «Tali cellule, stabilendosi nel principale luogo di produzione di cocaina, si garantiscono le migliori condizioni di acquisto, intrattengono proficui rapporti con le organizzazioni produttrici e gestiscono il traffico illecito dal luogo di origine fino a destinazione». Da padroni del mondo. (p.petrasso@corrierecal.it)
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