Solo negli Stati Uniti poteva capitare che la Corte Suprema, giudice delle leggi, nello stesso giorno dichiarasse illegale l’aborto pubblico e confermasse l’assurda liceità alla detenzione di armi, vera disgrazia della nazione per i riverberi di violenza che comporta.
Dopo quasi 50 anni si perdono gli effetti della sentenza che aveva autorizzato l’interruzione di gravidanza, affidando ai singoli stati il compito di legiferare in autonomia.
È presumibile che gli Usa si spacchino in due, come già accade per la pena di morte, contraddizione assoluta del concetto di primazia liberale che essi si autoassegnano.
Perché negli Stati Uniti, dunque, Paese che viene accreditato di esempio assoluto di democrazia partecipata, si nega il diritto alla donna di poter interrompere una gravidanza, si condannano a morte gli assassini e si legittimano le armi?
Eppure si tratta di una nazione tecnicamente cristiana, con larghissima prevalenza protestante. E cristiani in apparenza sono anche i membri del Kkk, che fanno dell’odio verso i neri la loro ragione di vita.
In realtà la matrice antropologica americana, quella che nasce con l’esodo inglese nella terra promessa, ha una connotazione biblica risalente al Vecchio Testamento, agganciata alla visione del mondo sul concetto di parità tra offesa e risposta. Tanti autori hanno sottolineato come appaia di derivazione biblica non solo il mantenimento della pena di morte, ma il concetto di proprietà privata, che è un totem assoluto nella gerarchia valoriale
In God we trust è scritto sul dollaro in una piramide massonica che sintetizza le ragioni che portarono la vecchia colonia inglese all’indipendenza e, successivamente, al dominio imperiale.
Questo rapporto stretto tra fede e politica non ha alcun elemento autenticamente cristiano, giacché il senso del perdono, e il rifiuto della riparazione violenta, non albergano nella cultura statunitense.
Si potrà obiettare che in politica interna repubblicani e democratici non siano la stessa cosa, ma entrambi i partiti condividono la visione assolutista dell’esportazione della condizione di vita interna come migliore scelta possibile per il resto del mondo.
L’oscurantismo della sentenza di ieri, nella sua duplice versione, ci rimanda l’immagine di un sistema in forte crisi identitaria, peraltro impreparato a diversificare il suo atteggiamento culturale in un pianeta che offre soluzioni alternative al suo vecchio monopolio.
Basterebbe riprendere i lavori sociologici sulla differente gestione della violenza con il vicino Canada per capire come gli americani tardino a comprendere la flessione culturale in atto nel loro Paese.
La pastorale protestante, che produce il divieto all’aborto, è la stessa che muove i grandi fili economici indigeni.
Di per sé l’interruzione di gravidanza è un trauma ma non può esserlo in un contesto in cui la vita, intesa come rispetto per la condizione altrui e la dignità, viene costantemente sacrificata in nome dei grandi gruppi che muovono l’economia.
Gli Usa hanno esportato la scarsa partecipazione democratica al voto in tutto l’occidente e, con essa, la supremazia di gruppi di interesse rispetto alla collettività.
Se il concetto di felicità, inserito nella loro Costituzione, fosse la difesa della vita, non potrebbero coesistere né la pena capitale, né l’uso spregiudicato di armi e l’impunità assoluta in una difesa che va ben oltre i confini tra ciò che è giusto e ciò che è eccessivo.
È in pratica l’unico Paese del mondo in cui si ripetono terribili stragi scolastiche.
Questo non è certo un giudizio verso la popolazione americana in generale, che presenta tanti lati positivi e che, considerato che vota intorno al 40 %, non ha una piena rappresentanza politica.
L’America che ha affascinato nel dopoguerra, per la sua vocazione alla libertà, il suo cinema, la sua letteratura, oggi si confronta con una realtà che la fa regredire e che indica a tutti noi altre, possibili strade.
La speranza è nella sua resurrezione civile, capace di recuperare in pieno quel sistema di diritti, dagli anni sessanta in poi, in grado di combattere violenze e discriminazioni e oggi tristemente archiviati
*giornalista
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