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Case pignorate, forniture staccate. È ormai «emergenza sociale» per i dipendenti del Sant’Anna

Pessimo il dialogo della clinica con Asp e Prefettura. Nel corso di una riunione è venuta fuori tutta la drammaticità del problema. Nel silenzio generale

Pubblicato il: 01/07/2022 – 8:30
di Alessia Truzzolillo
Case pignorate, forniture staccate. È ormai «emergenza sociale» per i dipendenti del Sant’Anna

CATANZARO Un cane che si morde la coda. Così appare la situazione della clinica Sant’Anna Hospital a Catanzaro, alla luce di una recente riunione che una cinquantina circa di dipendenti ha avuto con uno dei dirigenti del consiglio di amministrazione. Per la cronaca, allo stato attuale ai dipendenti (che avanzavano quattro mensilità) è stato pagato un acconto di marzo aprile. Ma infermieri, ausiliari e oss del Sant’Anna stanno stringendo la cinghia da molto tempo e chi aveva un po’ di risparmi da parte li ha ormai prosciugati. La riunione si è tenuta una settimana fa e lo stallo nel quale si trova la struttura da allora non si è smosso. Nel silenzio dei sindacati – tranne l’Usb – e nel silenzio dei rappresentanti politici. Eppure la clinica non conta pochi dipendenti. Si parla (in origine, perché ora parecchie persone se ne sono andate) di quasi 300 famiglie per lo più provenienti da Catanzaro e provincia.
Di loro non si è parlato nemmeno durante la campagna elettorale.
Sono persone che nel corso della riunione di una settimana fa hanno parlato di un «problema sociale che si trascina da 20 mesi». C’è gente alla quale hanno pignorato la casa, chi non rischia di vedersi staccare la luce, chi non può vedere i figli perché non ha i soldi per pagare gli alimenti. Tutti chiedono «che dobbiamo fare?». Il problema si avvita su se stesso con l’Asp che non paga, altri 727mila euro che non vengono erogati nonostante una sentenza del Consiglio di Stato e l’incertezza per il futuro. Ma procediamo con ordine.

Le attese di pagamenti da Asp e Prefettura

Nel corso della riunione il dirigente ha preso la parola per comunicare che «il 13 giugno abbiamo avuto da parte dell’Asp (di Catanzaro, ndr) la richiesta di emettere fattura. Fattura che ci avrebbe permesso di cominciare a pagare gli stipendi. Il 15 giugno ci avevano assicurato che entro il 21 giugno ce l’avrebbero pagata. Lunedì 20 ci avevano detto che la determina doveva essere firmata. A tutt’oggi, martedì 21, il direttore sanitario e il presidente sono andati all’Asp e gli hanno assicurato che la determina sarebbe stata pubblicata tra ieri pomeriggio e questa mattina. Questa mattina hanno pubblicato determine per un sacco di strutture tranne che per questa struttura. Vicepresidente e direttore sanitario sono andati in Asp e non sono stati ricevuti dal direttore amministrativo. Usciti dall’Asp sono andati in Prefettura. Oltre alle risorse che dobbiamo avere dall’Asp, che è la fattura, ci sono i famosi 727mila euro del Consiglio di Stato, che tutti avete letto. Anche quelli devono essere accreditati e non vengono accreditati». Il dirigente spiega che presidente e vicepresidente erano andati in prefettura «per cercare di chiare il motivo per cui ci troviamo in questa situazione».
«Siamo andati in Prefettura e il prefetto vicario – dice un altro uomo – ci ha assicurato che nel pomeriggio ci avrebbe fatto sapere l’esito di questo suo intervento presso l’Asp. A tutt’ora non ha dato nessuna comunicazione per cui il presidente e il vicepresidente sono andati nuovamente in Prefettura e aspettiamo una loro risposta».
«Noi facciamo il nostro lavoro – dice il dirigente – il problema è che a fare il nostro lavoro siamo noi, siete voi ma non è l’Asp e non è la Prefettura. Non ho parole per una situazione del genere». 

Il «muro di gomma» davanti al Sant’Anna e il problema sociale

I dipendenti chiedono: immaginiamo che la situazione attuale si risolva per il corrente. E poi? Per il futuro? E gli arretrati?
«Poi ci sono due situazioni – dice il dirigente –. La prima situazione è che nel momento in cui ripartiamo, riparte una attività ordinaria e l’attività ordinaria di per sé finanzia il cosiddetto corrente. Poi ci sono una serie di crediti significativi e importanti che sono quelli che nell’arco degli anni si sono sommati per i quali noi abbiamo presentato una relazione che è stata consegnata all’Asp. Sono indicate una serie di risorse che ripianerebbero completamente anche gli arretrati. Le potenzialità questa struttura le ha».
I dipendenti lamentano il fatto che le cose si stanno trascinando da due anni così e che soldi nelle famiglie (e tempo) ne sono rimasti pochi. Il dirigente parla di un «muro di gomma» davanti al quale si trova burocraticamente il Sant’Anna.
«Come mai la Prefettura non vuole liberare questi soldi?», chiede una dipendente.
«In realtà è diversa la questione – risponde il dirigente – perché non è che non liberano questi soldi ma stanno utilizzando tutto il tempo possibile a disposizione per erogare queste somme. Io non posso dire che non stanno ottemperando…».
Il dirigente viene interrotto da un uomo che asserisce che quando è stato esposto il problema in Prefettura – «perché c’è un problema sociale, qua ci sono famiglie che non sono in grado di pagarsi la luce» avrebbero risposto che avrebbero chiamato l’Asp e avrebbero chiesto un incontro per risolvere questa faccenda.
«Ma è già diventato un problema sociale – dice una donna – sono 20 mesi che è un problema sociale. Il tempo del gioco della palla a mano è finito. Diteci chiaro e tondo cosa dobbiamo fare. Devo mandare una pec, mi devo incatenare dentro gli uffici della Prefettura? Ditecelo chiaro e tondo così almeno ognuno di noi prende provvedimenti. È inconcepibile che dopo quasi 22 mesi siamo veramente arrivati con le pezze al sedere. Perché anche qualora avessimo avuto un risparmio da parte quello si è bello che prosciugato».
«Abbiamo debiti adesso – fa eco un uomo –. È di oggi la notizia che a una collega hanno pignorato la casa».
«Non le nascondo – riprende la donna – che ho avuto ingiunzioni sostanziali di pagamento ai quali io non posso ottemperare». La soluzione qual è? Si chiede la signora, «farmi fare un articolo di giornale nel quale minaccio che mi butto dal ponte così perdo mia figlia che è minorenne, perdo un lavoro che è vita, perdo la dignità, o rimanere in queste condizioni e perderla ugualmente perché la mia dignità ormai se n’è andata».
Un uomo si interroga sull’«ostilità delle istituzioni nei confronti della struttura» che è un «déjà vu che stiamo vedendo da due anni».
Si chiede al dirigente se l’Asp ha pagato quei 200mila euro sulle prestazioni fatte ad aprile. «Guardate che noi le risorse che abbiamo avuto – dice il dirigente – sono state quelle che abbiamo usato per darvi quegli acconti degli stipendi…». Ma i dipendenti non si fanno persuasi. C’è molto malcontento. Una donna afferma che «ogni giorno – e il direttore sanitario può verificare – una persona del personale ha problemi psicologici che si ripercuotono sulla propria salute. Ci è stato tolto tutto, anche il diritto a poterci curare. Diteci cosa dobbiamo fare. Se io mi devo incatenare alle porte dentro e mi devo fare arrestare lo faccio! Perché questa cosa si risolva».
«A me è arrivato un preavviso della sospensione della fornitura della luce», dice un’altra signora, «sono stanca, stanca, stanca».
Il dirigente dice che le sta provando tutte, che ha anche contattato il sindacalista dell’Usb.
«I dipendenti non li ha tutelati nessuno», asserisce con forza una dipendente.
Il dirigente si smarca, continua a ripetere che il presidente è tornato a Roma martedì sera e giovedì mattina ha ripreso un aereo per tornare in Calabria e recarsi in Prefettura. Dice che una dottoressa doveva fare lunedì e martedì, «oggi è giovedì e rimane fino a venerdì». Ma questi “sforzi” non bastano ad ammorbidire gli animi disperati di infermieri e oss che, infatti, ribattono «noi siamo qui tutti i giorni». E sono pure disperati. 

«Una macchina senza benzina»

«La ripartenza della struttura è un interesse di tutti noi», dice il dirigente.
Una dipendente sostiene che lo stato di agitazione si deve bloccare. «Siamo in clinica 30 infermieri per quattro pazienti – dice – ma siamo senza medico, non ci sono anestesisti, non vengono i chirurghi…».
C’è chi sostiene che il problema sia la proprietà, c’è chi dice che non ci sono valvole, non ci sono presidi «come operano?».
«Potrebbe essere una soluzione lasciare i dipendenti in cassa integrazione fino a quando» non si risollevano le sorti dell’azienda, propone qualcun altro.
Si intima al dirigente di andare dalla proprietà a parlare del problema sociale che stanno vivendo le famiglie. «La proprietà è a conoscenza della prima riunione, della seconda, dello stato di agitazione e non si pronuncia…».
«Non è un tema questo…», ribatte il dirigente.
«Questa situazione ci è costata nell’ultimo anno almeno 15mila euro – dice una donna – abbiamo avuto il 60% dello stipendio in meno perché abbiamo preso il 40% di Fis (fondo d’integrazione salariale, ndr), ferie non maturate, premio produzione non avuto, le festività soppresse non avute».
Il dirigente punta il dito contro quei soldi che sono disponibili ma che non vengono accreditati.
Gli rispondono che li anticipi la proprietà. «Non funziona così», ribatte il dirigente.
«A lei hanno dato una macchina senza benzina, come fa ad andare avanti? Deve mettere lei la benzina», gli dicono.
Sul tema della disoccupazione ordinaria, il dirigente risponde che la Sanità «ha la cassa integrazione in deroga perché i contratti della Sanità non pagano la percentuale della cassa integrazione, infatti si chiama cassa integrazione in deroga. La Fis è proprio una formula in deroga, fatta apposta per particolari situazioni che è stata legata al discorso del Covid».
I dipendenti hanno spiegato che nei giorni più tesi per il Sant’Anna «c’è chi ha protestato, chi si è incatenato, chi si è messo a fare i falò. E vicino al Sant’Anna c’erano tutti, personale, infermieri, c’era pure qualche medico. Quando hanno pignorato la casa al collega non c’era nessuno, quando l’avvocato ha impedito al collega di vedere la figlia perché non passava gli assegni, non c’era nessuno, quando staccheranno la luce alla collega non ci sarà nessuno».
«Il problema è che questo muro di gomma che fanno con voi non è reale per voi ma il muro di gomma lo fanno con noi».
Il dirigente non appoggia l’idea dello sciopero o dello stato d’agitazione, visto come uno «strumento contro la proprietà e il cda». «In questo caso – aggiunge – siamo tutti dalla stessa parte». Qualche dipendente però baccaglia sulla inerzia da parte della proprietà.
Il dirigente dice che la «proprietà ha nominato un cda e non ingerisce».
Dalla sua esperienza il dirigente afferma che «è raro che un cda abbia a cuore le sorti così come questo ce l’ha».
È passata un’ora dall’inizio dell’incontro. I dipendenti sono stanchi. Ribattono che il problema è la quotidianità, è riuscire a mettere qualcosa in tavola. «Lo so – dice il dirigente – io settimana scorsa ho fatto due attestati di servizio per due dipendenti che rischiavano di perdere la casa».
Esce fuori che la struttura non ha avuto 6200 euro per comprare due valvole.
«Allora – commenta qualcuno – siamo alla frutta».
Viene promesso che verrà pagata una mensilità – ce ne sono 4 arretrate – e il resto del denaro servirà a comprare i presidi che mancano per operare. Ma i dipendenti sono preoccupati perché asseriscono che con una mensilità non faranno nulla, non risolveranno i debiti e i problemi.
«Opererete – dice una signora – noi stiamo morendo di fame. Noi non ce la facciamo più».
Il dirigente dice che senza produrre non potrà fatturare per i mesi successivi per avere le successive erogazioni. È il problema dopo un’ora si dimostra una cane che si morde la coda. I dipendenti se ne vanno scorati. Nel silenzio di sigle sindacali, istituzioni, rappresentati politici di ogni ordine e grado. (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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