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Legami di sangue e rivalità su Vibo. La “stima” dei Rosarnesi per Domenico Camillò

Gli attriti tra il gruppo di Mommo Macrì e i Cassarola. «Il mondo» che va da Oppedisano e le parole del vecchio ‘ndranghetista: «Solo Mimmo “Mangano” poteva portare avanti Vibo»

Pubblicato il: 03/07/2022 – 7:02
di Alessia Truzzolillo
Legami di sangue e rivalità su Vibo. La “stima” dei Rosarnesi per Domenico Camillò

LAMEZIA TERME «Mo io li bucherello tutti a tiro a bersaglio gioco, gioco con loro, con loro». Domenico Macrì, detto Mommo, a capo del gruppo emergente della criminalità organizzata vibonese, non ama i Pugliese e lo dice chiaramente nel corso di una conversazione, a febbraio 2018, col boss di San Gregorio d’Ippona, Saverio Razionale.
I Pugliese – spiega il colonnello dei carabinieri Valerio Palmieri nel corso del maxi processo Rinascita-Scott – hanno un legame di parentela col vecchio boss di Vibo Francesco Fortuna, detto “Ciccio Pomodoro”, ucciso nel corso di un agguato a Pizzo il 23 settembre 1988. Le nipoti (figlie del fratello) di Ciccio Pomodoro hanno sposato Pugliese Rosario, “Saro Cassarola”, e Pugliese Antonio, esponenti della famiglia Cassarola. Una discendenza ancora più forte col vecchio boss ce l’ha Orazio Lo Bianco che è nipote, figlio di una sorella, di Ciccio Pomodoro.
Dall’altro lato c’è il gruppo di Mommo Macrì che, come spiega il colonnello Palmieri ha in animo «di crescere a livello criminale e di assumere il controllo della città anche a discapito dei soggetti che stavano gerarchicamente collocati sopra di lui».
I carabinieri, grazie anche a una serie di intercettazioni, registrano lo stato di tensione che si è manifestato a Vibo in più occasioni: «… ci sono le sparatorie di settembre 2017, ci sono una serie di danneggiamenti», dice Palmieri.
Nel corso di una successiva conversazione Mommo Macrì spiega i motivi del suo astio nei confronti di Francesco Pugliese, detto “Willy”, figlio di Rosario Pugliese, detto “Saro Cassarola”.
Macrì spiega a Razionale che “Willy” si è messo in mezzo in un lite tra Mommo Macrì e il cognato dello stesso Willy.
«Ma io non mi sono acchiappato con lui, ma lui si è messo lui nel mezzo, io per il cognato ero andato», dice Macrì.
«No, si è alzato dal tavolo e mi ha detto: io ho la pistola e questo mi viene addosso addosso», continua Macrì.
Risulta chiaro che l’attrito è forte tra i Cassarola e Macrì, tanto che Saverio Razionale prende in giro il ragazzo: «Tu ce l’hai il veleno, se ti prendono questi Cassarola ti mettono nella macchina della salciccia».

«Il mondo» che va da Oppedisano e il sostegno dei Bellocco per Domenico Camillò

Per come spiegato dal colonnello Palmieri, tra il 2017/2018 su Vibo c’è un sodalizio tra i Camillò – in particolare Domenico Camillò (Classe ’41), il figlio Giuseppe, l’altro figlio Michele e il nipote omonimo Domenico – e i Macrì e i Pardea. Tra i gruppi ci sono ancoraggi di sangue perché Domenico Camillò era cognato di Francesco Antonio Pardea, vittima di lupara bianca nel 1983. Non solo. Il defunto Francesco Antonio Pardea, Raffaele Pardea (padre di Francesco Antonio Pardea classe ‘86) e Domenico Camillò (classe ‘41) sono fratellastri, figli della stessa madre. Il fatto che Domenico Camillò e il suo gruppo stiano ascendendo all’interno della ‘ndrangheta vibonese lo testimoniano un paio di episodi significativi. Tra questi l’incontro, a Rosarno, con il Capo Crimine, Domenico Oppedisano, al quale partecipa anche l’attuale collaboratore di giustizia Bartolomeo Arena. Non è un fatto da niente, questo incontro, visto che Oppedisano è diventato Capo Crimine nel 2009 e a incontrarlo, dice Palmieri, «in realtà in quel periodo è andato veramente dal mondo», nel senso che «è andata gente anche dall’estero». Dopo la strage di Duisburg, nel 2007, ha cominciato a girare la voce che le cariche di ‘ndrangheta sarebbero cambiate e «avevano ritenuto i vertici della ‘ndrangheta non capaci di poter contenere determinate situazioni e quindi la necessità nel 2009 di cambiarle».
Oppedisano, dunque, incontra Camillò. In un frame che mostra il pm Antonio De Bernardo si vede il Capo Crimine che abbraccia il proprio ospite.
A Domenico Camillò, emerge dalla indagini, era stata conferita la dote dello sgarro e poi vi era stata una «sua progressione ulteriore di carriera per volere dei Bellocco», potente cosca di Rosarno. Al figlio Giuseppe Camillò, nel corso di una perquisizione, erano stati ritrovati degli appunti manoscritti per «la copiata della dote del trequartino e proprio come responsabile della parte tirrenica era scritto “Giuseppe Bellocco e Rosarno”», spiega Palmieri.
Quando a luglio 2014 viene ricoverato all’ospedale Jazzolino di Vibo Valentia Domenico Bellocco, classe ’76, dalle intercettazioni si evince che Domenico Camillò andava a trovarlo «tutte le mattine» mentre Enzo Barba, detto il Musichiere, elemento di vertice in seno alla ‘ndrangheta vibonese, «è venuto una volta». 

«Solo Mimmo “Mangano” poteva portare avanti Vibo»

Nel corso di una lite tra il gruppo di Mommo Macrì e i nipoti del boss di Zungri, Giuseppe Antonio Accorinti, il gruppo di Vibo usa un fucile e «l’arma utilizzata viene portata a Vibo Marina da Vincenzo Pugliese Carchedi (classe ‘31)» il quale riceve, poi, la visita dei carabinieri e subisce una perquisizione. In seguito al “fastidio” arrecato a Carchedi dal gruppo di Macrì, «subito si recano a trovarlo presso l’abitazione Giuseppe Camillò con il padre Domenico Camillò (Classe ’41)». I Camillò chiedono a «zio Vincenzo» se i «cani», cioè i carabinieri, gli hanno fatto visita. Il vecchio Carchedi li rimbrotta: «Dopo 32 anni siete venuti, potevate venire prima no», ad intendere, spiega il colonnello: «Non mi avete toccato per 32 anni adesso mi venite a toccare a questa età».
Carchedi comincia a criticare il comportamento di questi giovani su Vibo, e si rivolge a Giuseppe Camillò: «Bisogna vedere, Pinuccio, no non è che dire che li puoi lasciare così a briglie sciolte, no».
Il vecchio ne ha anche per Domenico Camillò: «Perché hai abbandonato Vibo solo tu, solo tu, solo Mimmo Mangano poteva portare avanti Vibo e non c’è niente da fare, Mimmo, te lo dice Vincenzo». Mangano è il soprannome dei Camillò, quindi Mimmo Mangano e proprio Domenico Camillò.
Questa battuta «dà la misura in cui proprio un vecchio, un anziano soggetto appartenente alla ‘ndrangheta considera anche Mimmo Mangano e quindi Camillò Domenico (Classe ’41) e ribadisce ancora più avanti: “L’unico, l’unico è Mimmo Mangano quanto è vera l’ostia consacrata, perché devi abbandonare…”» intendendo dire che Camillò aveva abdicato al controllo del nuovo gruppo emergente di giovani. (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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