REGGIO CALABRIA Disposta l’acquisizione, ai fini decisori, della documentazione prodotta in appello dalla difesa di Domenico Lucano. È ripreso questa mattina il processo di secondo grado all’ex sindaco di Riace e altre 17 persone. Davanti alla Corte d’Appello di Reggio Calabria, presieduta dal giudice Giancarlo Bianchi (giudici relatori Davide Lauro e Massimo Minniti), sono state lette le motivazioni del ricorso presentato dai difensori dell’ex sindaco di Riace, condannato in primo grado a 13 anni e 2 mesi di reclusione dal tribunale di Locri con l’accusa di aver utilizzato i fondi destinati all’accoglienza per trarre vantaggi personali. Associazione a delinquere, abuso d’ufficio, truffa, concussione, peculato, turbativa d’asta, falsità ideologica e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Queste, a vario titolo, le accuse della Procura di Locri nell’ambito dell’inchiesta Xenia per Lucano e altre persone coinvolte nel sistema di accoglienza divenuto celebre in tutto il mondo come “Modello Riace”.
La difesa di Lucano denuncia «il carattere eccessivo delle motivazioni» che hanno portato il Tribunale di Locri a infliggere una condanna in primo grado che gli avvocati Andrea Daqua e Giuliano Pisapia hanno definito «abnorme».
Una «innocenza documentalmente provata», quella di Lucano, secondo i suoi legali. Per Daqua e Pisapia l’obiettivo dell’ex sindaco di Riace «era uno solo ed in linea con quanto riportato nei manuali Sprar: l’accoglienza e l’integrazione. Non c’è una sola emergenza dibattimentale (intercettazioni incluse) dalla quale si possa desumere che il fine che ha mosso l’agire del Lucano sia stato diverso». Nelle motivazioni d’appello i legali rilevano che in sentenza c’è stato un «uso smodato delle intercettazioni telefoniche, conferite in motivazione nella loro integralità attraverso la tecnica del copia/incolla». Intercettazioni che, in molti casi, secondo gli avvocati, sarebbero inutilizzabili.
Tra i documenti presentati i legali di Lucano hanno chiesto di far entrare in giudizio d’appello anche un’intercettazione ambientale registrata ma mai entrata negli atti del processo di primo grado e che, a loro avviso, proverebbe «l’insussistenza di metà processo». «L’amministrazione dello Stato non vuole il racconto della realtà di Riace… oggi la mission dello Stato… sapete, lo Stato è composto… come qua da voi. C’è l’opposizione». E ancora: «Vi dovete aspettare, perché non è improbabile, che un domani verranno la guardia di finanza». A parlare, all’interno della sede dell’associazione Città Futura, è l’ispettore della prefettura Salvatore Del Giglio.
È il 20 luglio 2017 e il funzionario, diventato in seguito teste della Procura, si trovava a Riace per un’ispezione. «È stata silenziata – aveva affermato Daqua ai nostri microfoni in occasione dell’incontro organizzato nelle scorse settimane a Riace da tre europarlamentari – cioè non è stata utilizzata dalla Procura, un’intercettazione ambientale che, se fosse stata utilizzata, il Tribunale e la Procura stessa avrebbero avuto la prova documentale dell’insussistenza di metà processo. Abbiamo chiesto di trascriverla e di farla entrare in giudizio d’appello». Il processo è stato rinviato al prossimo 26 ottobre. (redazione@corrierecal.it)
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