Leggo oggi sul Quotidiano Nazionale un interessante articolo nel quale si passa in rassegna l’ultimo “bestiario” dei maturandi 2022: da Sergio Mattarella “chi era costui?” a Mussolini “un comunista”, fino a Liliana Segre “una deportata perché di colore”. Purtroppo non sono casi isolati bensì drammaticamente assai frequenti: te ne avvedi quando ti trovi a chiacchierare con alcuni, certo molti, non tutti s’intende, di questa nostra generazione di diciottenni. E trasecoli di fronte ad un’ignoranza crassa, “error manifesto e non iscusabile”. Ovviamente tengo prudentemente fuori da questo novero i tanti giovani brillanti, destinati perlopiù all’emigrazione, poiché i Paesi più intraprendenti non si limitano a stanziare per l’istruzione e la ricerca ingenti somme in bilancio, ma fanno incetta dei più capaci nel mondo, sottraendoli, con adeguate prospettive di lavoro, alla Nazione che li ha formati. Ma la più parte dei giovani, collocati ad un livello basso, quelli di cui parla la rassegna di oggi, rimangono qui da noi in attesa di un posto fisso da ottenere col minimo sforzo (e magari con qualche “ ‘mbuttatedda”, quanto favorisce l’ascesa politica di professionisti della Clientela, che questi ultimi osano perfino definire “lavoro politico”). Mai sia detto che questi giovani vadano a fare i carpentieri, i camerieri o i commessi, o peggio i lavoratori agricoli (roba da terzomondisti), tanto che, se cerchi uno per fare i c.d. “lavori umili”, ti senti rispondere che non vi è ragione di sacrificarsi, perché, in attesa di un lavoro “adeguato”, ad essi ci pensa lo Stato col reddito di cittadinanza (non che non sia giusto aiutare chi non ce la fa, ma per certo non è giusto non sanzionare chi il lavoro lo rifiuta, se almeno si vuol essere coerenti con il principio dei principi: “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”). Ora, i Paesi che investono nell’istruzione hanno di mira alcuni obiettivi fondamentali: non soltanto accrescere le competenze nei vari settori, non soltanto promuovere il progresso e lo sviluppo, ma sopratutto elevare il tasso di consapevolezza e responsabilità rispetto alla cosa comune. Insomma, chi investe in “cultura” guarda non soltanto alla classe dirigente di domani, ma in primo luogo e complessivamente ai cittadini di domani, quelli che avranno quantomeno un minimo di cultura di base per scegliere, si spera liberamente, al momento del voto e che pretenderanno dai loro rappresentanti passione, impegno e competenza nella gestione della cosa comune. Viceversa, i Paesi che non investe nell’istruzione, nella formazione e nella ricerca per tutti, quelli che lasciano andar via i migliori, auspicano il mantenimento dello status quo, quello dei parcheggi infiniti nelle Università, del rifiuto del lavoro nella spasmodica esplorazione di sussidi, di radicamento nell’ignoranza crassa, tutto quanto è essenziale per bloccare la democrazia. Infatti, questa massa galleggiante, di nessun vantaggio per la società (l’esatto contrario di ciò che la Costituzione esige da ogni cittadino italiano), va però a votare. Ed ancora nella legislatura che sta per terminare, quest’affollatissima categoria di cittadini ha dimostrato di quali prodezze sia capace, se è vero, come è vero, che la nostra “povera Italia” si è negli ultimi quattro anni ulteriormente e complessivamente impoverita e non soltanto a causa della crisi economica prima e della pandemia dopo. Ma c’è di più. Questi che non sanno neanche chi sia Mattarella (e che andrebbero almeno scolarizzati prima d’inondare di “cazzonaggine” la società) s’imbarcano facilmente in politica (con la benedizione dei partiti che li pesano soltanto in base al consenso) e ce li ritroviamo perfino nei consessi territoriali – od addirittura nazionali- a “dettare la linea”. mentre candidamente inciampano nei verbi ausiliari. Ed è una “reazione a catena” perché, coerentemente, uno senza neanche la licenza elementare si chiede perché mai lui non possa aspirare a cariche pubbliche, tanto c’è sempre un giornalista pronto a scrivergli le dichiarazioni con la lingua di Carducci. E se non lui, certamente il suo amico, che è come lui, finirà per rappresentarlo al meglio perché “quella cosa certamente me la farà”. Anche i colti dovrebbero ricordare, quindi, che fra l’ignoranza ed il decadimento mercantile della politica c’è una parentela stretta e che questo non giova certo al bene comune. Ed invece l’ignoranza è stata definitivamente sdoganata: perché stupirsi, dunque, se un candidato agli esami di stato, candidamente parla della senatrice a vita Liliana Segre definendola “una deportata perché di colore”? Fosse per me la smetterei di elogiare questi ignoranti (soltanto perché fanno parte di famiglie numerose) e farei capire che il loro posto è alle scuole serali, cercando di non confonderei il consenso (mercantile) con il merito, anche se il primo può convenire a tanti,perfino insospettabili. L’Italia ha bisogno, infatti, di merito per salvare la democrazia, ha bisogno di uomini uomini liberi e soltanto la “conoscenza rende liberi” (Socrate). In alternativa teniamoci pure questo Paese di nullafacenti e parassiti, impegniamoci per mandarli pure a governare in nome di una malintesa nozione di democrazia. Al netto del rispetto dovuto a chi ha davvero bisogno, a chi davvero non ce la fa ad arrivare a fine mese, rivolgo un invito sincero a quei maturati di cui parla oggi il Quotidiano Nazionale: “pedilordi” di tutt’Italia unitevi…per mandare il Paese a rotoli.
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