LOCRI C’è un capitolo nell’informativa dei carabinieri “New Generation”, in cui gli investigatori descrivono quello che ormai è diventato un tòpos giudiziario, quello delle cosiddette “mangiate”, «nel corso delle quali, spesso, i partecipi discutono di argomenti tipici di ‘ndrangheta, pianificano le attività criminali e conferiscono doti». Due degli indagati nell’inchiesta sulle nuove leve del clan Cordì a Locri – Riccardo Francesco Cordì e Luca Scaramuzzino – partecipano ad alcune riunioni che finiscono nei brogliacci di indagine. Il gip Antonino Foti chiarisce che «in assenza di riscontri in ordine agli argomenti trattati», questi incontri non possono essere considerati di per sé «meeting di ‘ndrangheta, quanto piuttosto una frequente occasione per consolidare i rapporti tra di loro o con gruppi identificati con il comune di provenienza (in particolare Bianco e Platì)».
Per i casi documentati nell’inchiesta «il fatto che a partecipare siano solo i componenti dell’associazione a delinquere e di congreghe di zone limitrofe, con esclusione anche di fidanzate e mogli, è un concreto indice dell’esistenza di un sottostante vincolo e della natura» delle riunioni. Che non si tratti di semplici incontri tra amici lo si ricava anche dal fatto che le “mangiate” devono rimanere segrete».
Non si tratta neppure di incontri tra coetanei, visto che «in alcune occasioni partecipava alla “mangiata” anche Vincenzo Cordì (classe 1957), oggi detenuto nell’ambito dei procedimenti “Mandamento” e “Riscatto” (condannato in primo grado in entrambi i procedimenti), in quanto ritenuto a capo del “locale” di Locri». Dalle conversazioni intercettate traspare il riserbo su quegli appuntamenti («Sono a una mangiata… hanno invitato pure me». «Dove?». «Da una parte»).
L’importanza di quelle occasioni nelle dinamiche di ‘ndrangheta – evidenzia ancora il gip – viene «riconosciuta anche da Luca Scaramuzzino. Nel parlare degli equilibri a Locri tra gli storici casati dei Cordì e dei Cataldo», Scaramuzzino fa «presente al cognato che i Cataldo e gli Zucco (famiglia strettamente legate ai Cordì sia per vincoli di parentela che per cointeressenze criminali) di sarebbero incontrati quel giorno per una mangiata». «Qua stanno i Cataldo e i Zucco», dice. «Qua… tutto qua sono i Cataldo… Zucco… Cataldo sono insieme. Lo vedi che hanno la mangiata… sono tutti là che mangiano».
«Che fosse un incontro tra vertici di ‘ndrangheta – si legge ancora nell’ordinanza – lo si ricava dalle parole di Scaramuzzino, il quale faceva presente che erano “tutti” riuniti e che i carabinieri nei giorni precedenti avevano pattugliato quelle zone, con ciò volendo chiaramente evidenziare quanto fosse rischioso quell’incontro».
Di «maggiore interesse» è, per gli inquirenti, «l’invito alla suddetta mangiata sia di Luca Scaramuzzino (“Me lo aveva detto pure a me”, “mi aveva detto se volevo andare”) che di Riccardo Francesco Cordì (“lo hanno detto pure a Riccardo”)». L’interlocutore non si mostra sorpreso per l’indito a Cordì, «tenuto conto che ormai vigeva la pace tra i Cataldo e i Cordì (“va bene, ma ora sono in pace”)». A detta di Scaramuzzino, però, «persistevano tensioni tra le due cosche, circostanza questa che attribuisce ancora più significato all’invito rivolto dai Cataldo a Riccardo Francesco Cordì e allo stesso Scaramuzzino».
Le “mangiate”, dunque, sono un modo per verificare gli equilibri geopolitici tra le cosche. A Locri questi equilibri sarebbero cristallizzati da tempo. «In merito al fatto che tra le due consorterie criminali fosse in vigore una “pace” non si ritiene che possano essere ormai dubbi (…): diversi provvedimenti giudiziari, anche recenti, hanno comprovato l’avvenuta rappacificazione tra le due consorterie a seguito di un accordo spartitorio e di non belligeranza maturato e concluso tra il 2008 e il 2010». Tant’è che «va evidenziato che al momento della registrazione della conversazione ambientale l’autovettura si trovava in un’area ove insistono degli immobili in cui risiedevano alcuni componenti delle famiglie Cataldo e Zucco di Locri». (ppp)
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