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Trame di ‘ndrangheta nella Capitale. «Hai aperto un “locale” a Roma? Sei come il Papa»

Le intimidazioni («dove sei che ti scanno?»). I propositi di fare la guerra. L’acquisto di Uzi e bazooka. Il potere della cosca guidata da Carzo e Alvaro

Pubblicato il: 11/07/2022 – 13:23
Trame di ‘ndrangheta nella Capitale. «Hai aperto un “locale” a Roma? Sei come il Papa»

ROMA La metamorfosi della ‘ndrangheta è servita e non è cosa che si scopra oggi. L’inchiesta che ha svelato l’esistenza di un “locale” a Roma ha offerto all’opinione pubblica la possibilità di osservare il funzionamento di un clan dall’interno. Con tanto di divisione dei compiti tra due boss. Da una parte Antonio Carzo, ‘Ntoni Scarpacotta, capo vecchio stile, reduce dal 41bis con l’autorizzazione di estendere la propria influenza a Roma. Dall’altra Vincenzo Alvaro, volto della ‘ndrangheta imprenditoriale, legato alla gestione del Cafè de Paris. In mezzo figure come Giuseppe Penna, affiliato di prim’ordine che gestisce un’officina. Penna conosce bene le regole della ‘ndrangheta: da piccolo avrebbe “accettato” l’omicidio della madre che aveva disonorato la famiglia. E da parte avrebbe portato il figlio 13enne a sparare in un piazzale per prendere dimestichezza con le armi in una notte di Capodanno. Oggi Repubblica propone l’audio di alcune intercettazioni dell’inchiesta romana. 

«Dove sei domani che ti scanno? Mi devi dare 500mila euro»

Antonio Carzo, l’uomo della tradizione, è portatore anche di minacce dal suono antico. Come quelle che rivolge a un imprenditore che si sarebbe indebitato con il clan. «Sei solo un bastardo, indegno, se ti prendo ti ammazzo. Dove sei domani che ti scanno? Te lo giuro sull’anima di mia madre. Tartararo, con chi credevi di avere a che fare? Con l’ultimo arrivato? T’ammazzo, lo capisci? Sbirro tu e tutti quelli che frequenti. Se ti piglio ti scanno come un capretto. Con chi pensi di avere a che fare? Senti sbirro, tu mi devi dare i soldi. Domani portami i soldi che ti giuro sull’anima di mia madre che vengo e ammazzo i tuoi. A me non frega niente, possono fare mortadella con te. Mi devi dare 500mila euro».

«Hai aperto un locale a Roma. Sei come il Papa»

Altre due frasi di Alvaro e Carzo rimandano direttamente alle strutture create dalla ‘ndrangheta nella Capitale. Alvaro ricorda che «siamo una carovana, per fare la guerra basta un attimo: o me la dai o me la prendo». Per Carzo, invece, «volta e gira siamo qualche cento di noi altri nel Lazio». D’altra parte, la nascita di un “locale” di ‘ndrangheta a Roma è stata celebrata come un evento storico anche all’interno dell’organizzazione criminale. Lo ricorda compiaciuto, nell’aprile del 2018, Francesco Greco, affiliato della struttura dei calabresi, a Carzo. «Sei arrivato a Roma, al centro di Roma, hai aperto un bel locale. Sei come il Papa».

«Pure il bazooka penso che ti porta»

Per fare la guerra, però, servono le armi. Altre conversazioni vertono proprio sul loro acquisto. Francesco Calò e Antonio Carzo discutono proprio di questo. «Sono andato a parlare con quelli per un poco di ferri. Ha detto che me li porta». «Quanto vogliono». «Per un calibro 38, 800 euro». «Mettete i ferri nei vostri cannoni», chiude Garzo. Vincenzo Carzo, invece, informa Antonio: «Penso che lui le prende, le porta e poi tu gli dai i soldi e lui ti dà l’Uzi (una mitraglietta, ndr). Pure il bazooka penso che porta. Quello è buono pure quando si può sotterrare da qualche parte».

Il lavoro per l’amico 

Il “potere” di Vincenzo Alvaro si ripropone anche quando “impone” agli imprenditori i servizi di un amico. In uno di questi casi «c’è un carissimo amico mio – dice a Vito Junior Fiusco – che dfa il ritiro dell’olio esausto». L’imprenditore chiede «i soldi» per il servizio. E Alvaro risponde che «i soldi non li danno nemmeno le banche». Davanti alle rimostranze dell’uomo, che lo chiama “zio Melo”, Alvaro finalmente si spiega. Fiusco dice: «Se tu mi chiami per dirmi: “Vedi che è un uomo nostro e lo dobbiamo far lavorare” è diversa la cosa». «E io questo ti sto dicendo», è la risposta.

I consigli legali di Alvaro

D’altra parte ad Alvaro ci si rivolge anche per consigli legali. Da “esperto” (per averla già scampata in qualche circostanza) risponde che non c’è da preoccuparsi per le indagini sulle intestazioni fittizie: «Tutte ste cose che dicono, che ti attaccano (ti arrestano, ndr), sono tutte minchiate. Io ho fatto un fallimento di un miliardo e mezzo. Mi hanno condannato e ancora devono fare l’appello. È andata in prescrizione».

«Comanda tutto giù, tutto per lui deve passare»

Il suo carisma è ben noto agli affiliati. Oltre alla disponibilità di denaro, può contare sulla forza di intimidazione. Che  emerge dalle conversazioni. Marco Pomponio affiliato romano spiega come funziona la potenza del clan: «Forse non hanno capito che facciamo come ci pare… bisogna andarci con zio (Vincenzo Alvaro, ndr) ai piani alti, che lì sono tutti calabresi, bisogna dirgli “mi accompagni al CAR (Centro Agroalimentare Roma, ndr) che ci stanno rompendo…». E ancora su Alvaro: «Comanda tutto giù, comanda. Comanda su tutto! Su tutte le cose che passano per là: dall’ittico al pane, alla pasta al pesce. Tutto per lui deve passare. Mamma mia, deve magna’ dappertutto. Proprio di prepotenza, proprio». 

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