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«Battaglia è Battaglia», il ruolo del boss Rosario nel “Rimpiazzo” dei Piscopisani sui Mancuso

Nelle motivazioni della condanna a 28 anni di carcere nei confronti di “Sarino”, riportate le dichiarazioni dei pentiti Moscato, Mantella e Arena

Pubblicato il: 12/07/2022 – 13:57
di Giorgio Curcio
«Battaglia è Battaglia», il ruolo del boss Rosario nel “Rimpiazzo” dei Piscopisani sui Mancuso

VIBO VALENTIA Un ruolo apicale e dirigenziale, coinvolto pienamente e direttamente nelle attività di traffico di sostanze stupefacenti sia sul territorio di Vibo Valentia, ma consolidato anche attraverso stretti rapporti con acquirenti siciliani e bolognesi. È il ritratto di Rosario Battaglia, alias “Sarino”, riportato nelle motivazioni della sentenza emessa dal Tribunale di Vibo Valentia e che, lo scorso 11 aprile, lo ha condannato a 28 anni di reclusione al termine del processo ordinario di primo grado “Rimpiazzo”, procedimento nato dall’omonima inchiesta condotta dalla Dda di Catanzaro, guidata dal procuratore Nicola Gratteri.

Il “rimpiazzo” dei Piscopisani

Un’attività investigativa che ha fatto luce sugli affari dei Piscopisani ma soprattutto sulle ambizioni: le famiglie, infatti, puntavano a scalzare i potenti Mancuso di Limbadi dal capoluogo vibonese e dalle frazioni marine sfruttando il fatto che molti rappresentati dei Mancuso fossero in carcere. Quella di Piscopio è un “locale” di ‘ndrangheta operante in particolare nei territori delle frazioni vibonesi di Piscopio, Longobardi e Bivona, oltre a Vibo Marina e Porto Salvo, in accordo con altre importanti famiglie come i Bonavota-Tripodi nel Vibonese, i Pelle-Aquino-Commisso nel Reggino, e i Catalano-D’Onofrio a Torino. Estorsioni, danneggiamenti, omicidi, detenzione di armi, favoreggiamento, intestazione fittizia di beni e traffico di droga solo alcuni degli affari della locale di Piscopio, guidata da Nazzareno Fiorillo “il tartaro”, Salvatore Giuseppe Galati “Pino il ragioniere”, Michele Fiorillo “Zarrillo”, Rosario Battaglia “Sarino”, Rosario Fiorillo “Pulcino”, il pentito Raffaele Moscato e Giovanni Battaglia.

«Battaglia è Battaglia»

E proprio Rosario Battaglia, classe ’84 di Vibo Valentia che, al termine del processo di primo grado celebrato con rito ordinario, i giudici hanno comminato la pena più alta. «Battaglia è Battaglia, non ha ruoli». A tratteggiarne il profilo criminale è stato il collaboratore di giustizia Raffale Moscato (condannato a 8 anni e 8 mesi), elemento di vertice della consorteria e ritenuto colui che era spesso chiamato per commettere estorsioni, danneggiamenti e omicidi. Le sue dichiarazioni – con particolare riferimento alle attività di spaccio di droga – sono state riportate nelle motivazioni della sentenza. «Ricevevo la sostanza da spacciare da Battaglia Rosario, da Michele Fiorillo, da Rosario Fiorillo, sempre, da Sacha Fortuna sempre, da Davide Fortuna sempre (…) è successo un migliaio di volte, è sempre successo, quindi o andavo io a Piscopio e me la prendevo». «Quando la prendevo da Battaglia la stessa cosa. Ma mi hanno abbonato pure dei soldi, in particolare Battaglia. Quando – ha spiegato Mantella – io non corrispondevo alla somma, magari che non mi trovavo, lui mi ha sempre abbonato dei soldi». Moscato, come riportato nelle motivazioni, descrive anche i rapporti tra Rosario Battaglia e Rosario e Michele Fiorillo. «Se Battaglia guadagnava cinque euro, Fiorillo e l’altro Fiorillo guadagnavano altri cinque euro (…) Fiorillo teneva un block-notes con tutti gli appunti, perché, poi, hanno arrestato a Michele Fiorillo, per dimostrargli i soldi della cocaina, perché c’era parecchia cocaina all’epoca, per dimostrargli una volta uscito tutta la contabilità della cocaina, quindi teneva questo block-notes in una cassaforte, nella stanzetta di casa (…) perché erano tre parti uguali che dovevano avere, sia lui, sia Battaglia, sia Rosario Fiorillo, ma è stato sempre così, già dal 2005, che andavo io a prendermi quel poco di cocaina da Fiorillo Michele e Fiorillo Rosario, erano sempre tutti e tre». Secondo Moscato, inoltre, Rosario Battaglia nell’ambito criminale «si è cresciuto con il cugino Salvatore Tripodi dalla parte della moglie, una figlia di Nato Mantino, cugini di primo grado». «I Tripodi sono di Portosalvo ed è una cosca che domina, dominava».

«I Piscopisani vendevano chili e chili di droga»

Un quadro convergente con le dichiarazioni rese da un altro collaboratore di giustizia di spicco come Bartolomeo Arena che parla del boss dei Piscopisani come la persona con la quale aveva più confidenza, «proprio in virtù del fatto che era il nipote di Fortunato Mantino e diciamo è stato l’unico dei Piscopisani con cui ho mantenuto sempre ottimi rapporti nonostante quei dissidi che li hanno visti contrapposti con i miei cugini». Altre dichiarazioni rilevanti e riportate nelle motivazioni della sentenza sono quelle di un altro collaboratore di giustizia, Andrea Mantella. «I Piscopisani erano attivi grande distribuzione dello stupefacente, vendevano chili e chili di droga senza nemmeno vederla, praticamente». (redazione@corrierecal.it)

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