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la sentenza

Cosenza, tentata estorsione. Salvatore Giannone condannato a 4 mesi

La decisione del Tribunale. Il pm aveva invocato una pena di 5 anni e 3 mesi per l’imputato. Assolto Attilio Chianello «per non aver commesso il fatto»

Pubblicato il: 12/07/2022 – 18:13
di Fabio Benincasa
Cosenza, tentata estorsione. Salvatore Giannone condannato a 4 mesi

COSENZA Il Tribunale di Cosenza , in composizione collegiale (Giudice Carmen Ciarcia) ha pronunciato la sentenza in merito alla posizione di Salvatore Giannone e Attilio Chianello.
Il primo è stato condannato a 4 mesi di reclusione, ed è stata esclusa l’aggravante del metodo mafioso e riconosciute le attenuanti generiche. Il secondo, invece, è stato assolto per «non aver commesso il fatto».

I fatti

Salvatore Giannone (difeso dall’avvocato Ugo Le Donne) e Attilio Chianello (difeso dall’avvocato Maurizio Nucci) erano stati arrestati su ordine del gip Distrettuale di Catanzaro e su richiesta dell’allora pubblico ministero Camillo Falvo (oggi procuratore capo di Vibo Valentia) al termine di una indagine condotta dalla Squadra Mobile di Cosenza. Gli imputati sono considerati autori di tentata estorsione nei confronti di Francesco Greco, avvenuto al termine di un incontro. Quell’appartamento era stato registrato dalla presunta vittima della richiesta estorsiva e consegnato agli investigatori.

Le dichiarazioni spontanee di Giannone

Nel corso dell’odierna udienza, dinanzi al Collegio giudicante del Tribunale di Cosenza, Salvatore Giannone ha reso dichiarazioni spontanee. «Conosco Francesco Greco da 30 anni e insieme giocavamo a calcio». Per questo motivo, e in virtù del rapporto con Chianello (suo genero), Giannone si sarebbe proposto di mediare tra le parti. Chianello ha realizzato dei lavori nell’abitazione di Greco, quest’ultimo però non soddisfatto del servizio ricevuto avrebbe rinunciato al pagamento della somma pattuita e per lo stesso motivo sarebbe stato destinatario di un decreto ingiuntivo. «Ho incontrato Greco, la prima volta, al bar Bronx a Cosenza, il 21 agosto alle 10.30», sostiene Giannone. Che aggiunge: «Gli ho detto di risolvere con mio genero e lui mi ha risposto che i lavori non gli erano piaciuti». Secondo Giannone, Greco avrebbe aperto alla possibilità di pagare 15mila euro «senza tuttavia corrispondere la somma che Chianello gli aveva chiesto». Seguirà un altro appuntamento, dove Greco si presenterà munito di registratore, piuttosto «nervoso e agitato», precisa Giannone in aula. All’incontro prenderà parte anche Chianello. I due si parleranno «senza trovare un punto di incontro». A quel punto, riferisce Giannone, «ho detto ad Attilio Chianello che doveva continuare la causa». Conclusa la chiacchierata, chiosa Giannone, «Greco mentre andava via, si è voltato ed è venuto vicino a me con rabbia». «Gli ho detto di non scherzare con me perché sarei andato a prenderlo a casa». Giannone, dunque, ammette di aver pronunciato la frase ma esclude qualsiasi tentativo di intimidire il suo interlocutore. E si rivolge al presidente del Collegio giudicante. «Signor Giudice, ho denunciato il boss di Fuscaldo e sono stato isolato da tutti. Ho otto figli e ho sempre denunciato tutto senza mai piegarmi. Sono stato coinvolto in questa situazione per “colpa” del mio cognome». Il riferimento dell’imputato è alla posizione di uno dei fratelli, che sarebbe legato al clan Perna.

La requisitoria

Al termine della requisitoria, il pubblico ministero aveva chiesto la condanna dei due imputati. In particolare, una condanna pari a 5 anni, 3 mesi di reclusione e 12mila euro di multa per Giannone, mentre per Chianello, in virtù del riconoscimento delle attenuanti generiche, la pena invocata è stata di 4 anni e 8 mesi di reclusione e una multa pari a 9mila euro.

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