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Il «clima di terrore» nei supermercati Perri. «Proteste punite con i trasferimenti»

L’indagine della Gdf parla di «prevaricazioni fisiche e morali»: lavoro più pesante per le donne incinte, controlli per andare in bagno

Pubblicato il: 13/07/2022 – 18:25
di Alessia Truzzolillo
Il «clima di terrore» nei supermercati Perri. «Proteste punite con i trasferimenti»

LAMEZIA TERME «Lavoro sei giorni su sette a settimana… percepisco una busta paga di 1.170 euro mensili… per straordinario intendo le ore svolte oltre le nove ore giornaliere. Per quanto riguarda il pagamento di queste ore non credo che avvenga… sono consapevole che lavoro un numero di ore superiore a quelle previste dal contratto collettivo nazionale di lavoro, visto che ho una famiglia da mantenere ho accettato tali condizioni di lavoro, anche perché è periodo di crisi ed il lavoro scarseggia».
Nove di ore di lavoro, sei giorni su sette, nessun compenso per gli straordinari, nessun compenso per il lavoro nei giorni festivi, mai fruito di recupero ore nonostante le certificazioni in busta paga (dove però non risultano le reali prestazioni di lavoro effettuate dal dipendente). Era questo il dipendente-tipo dei supermercati Perri. Oggi un’ordinanza del gip Francesco De Nino ha disposto il sequestro di beni per 665.000,00 euro nei confronti degli imprenditori Pasqualino e Francesco Perri e per circa 250.000,00, euro nei confronti di due delle società di capitale coinvolte nell’inchiesta denominata “Mari Neri”.
Nel momento in cui in Italia si dibatte sul perché le aziende non trovano lavoratori, sugli effetti del reddito di cittadinanza e sulle sproporzioni tra mole di lavoro e retribuzioni, dalla Calabria parte un’inchiesta condotta dal Nucleo Operativo-Nucleo Mobile del Gruppo della Guardia di finanza di Lamezia Terme, coordinata dalla Procura guidata da Salvatore Curcio, che racconta lo sfruttamento di 79 dipendenti nei supermercati appartenenti alla nota famiglia di imprenditori: i Perri.
Sono accusati di sfruttamento del lavoro Pasqualino Perri, 61 anni (legale rappresentante delle società “La Nuova Nave srl”, “Ipermercato Midway srl” e “Ipermercato Due Mari srl”), Francesco Perri, 54 anni (amministratore di fatto delle società “La Nuova Nave srl”, “Ipermercato Midway srl” e “Ipermercato Due Mari srl”), Maria Barresi, 58 anni, moglie di Pasqualino Perri e direttrice di fatto del supermercato “Stella Marina”, Roberto Rispoli, 51 anni, dipendente dell’ipermercato Midway e responsabile del punto vendita Stella Marina.
Rispoli è anche accusato di favoreggiamento perché avrebbe sollecitato un dipendente del supermercato a dichiarare il falso all’autorità giudiziaria.
A essere sfruttati, secondo l’accusa formulata dalla Procura di Lamezia Terme, erano addetti allo scarico merci, addetti alla macelleria, al reparto frutta, alla salumeria, cassiere, addetti alle vendite, addetti all’assistenza clienti, addetti ai magazzini, addetti al banco frigo. In sostanza l’ossatura che mandava avanti i supermercati Atlantico (ricadente nella società “La Nuova Nave srl”), Stella Marina (ricadente nella società “Ipermercato Midway srl”), Carrefour, Midway, l’ipermercato Due Mari.

La prima denuncia nel 2014

I fatti che le fiamme gialle hanno annotato si dipanano tra il 2016 e il 2017 anche se la miccia è scattata nel 2014, grazie alla denuncia fatta da un dipendente nei confronti di Francesco Perri, all’epoca incontrastato signore dei supermercati a Lamezia e all’epoca ancora non toccato da nessuna inchiesta antimafia: l’indagine “Andromeda” scatterà nel maggio 2015.
L’uomo, come tutte le persone offese riconosciute nell’inchiesta, aveva accettato condizioni illecite di lavoro vista la necessità di avere un minimo di salario per mantenere la sua famiglia. Dal 2009 al 2013 avrebbe lavorato per 11 ore al giorno, 26 giorni al mese, a fronte di una paga che oscillava tra le 800 e le 1.050,00 euro al mese. Secondo la legge avrebbe dovuto percepire un salario di 1.800 euro mensili.
A questo punto i militari hanno installato una serie di telecamere e ascoltato una serie di dipendenti. Ma vista l’iniziale reticenza a parlare da parte dei dipendenti la Guardia di Finanza ha dovuto fare ricorso a modalità investigative più tecniche, generalmente adoperate per altro genere di operazioni: intercettazioni, perquisizioni, sequestri di documenti. Hanno appurato che «ogni operaio identificato lavorava mediamente da 9 fino anche 11 ore giornaliere, effettuando, quindi, orari di gran lunga superiori rispetto a quelli previsti dal contratto collettivo nazionale di lavoro».
Inoltre quello che veniva certificato in busta paga con collimava affatto con la realtà, ferie godute e turni di lavoro compresi. In pratica, la busta paga dei dipendenti veniva elaborata in maniera tale da far collimare l’importo erogato (quello stabilito a monte dal datore di lavoro) con le prestazioni lavorative che non corrispondevano a quelle reali, ma di gran lunga inferiori. Altro dato allarmante: lo sfruttamento sarebbe stato posto in essere per almeno un decennio ma è contestato solo dal novembre del 2016, epoca in cui è entrato in vigore l’articolo 603 bis del codice penale (intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro) che punisce severamente questo tipo di condotta delittuosa.

Le «mezze giornate» per recuperare un’intera giornata di straordinario

Tra la varia documentazione sequestrata i finanzieri hanno trovato quaderni manoscritti nei quali venivano appuntati i giorni di riposo dei dipendenti. Con «mezza giornata» di riposo il datore di lavoro, scrivono nell’informativa i militari, «considerava recuperato il giorno effettuato dall’operaio nella giornata festiva, destinata al riposo settimanale».
I quaderni trovati sono stati diversi: “Cfr Atlantico presenze novembre”, con le turnazioni settimanali dei dipendenti; “CC Atlantico recuperi mezze giornata natale 2016”. Chi lavorava nei giorni festivi non recuperava una intera giornata di lavoro ma solo mezza giornata.
Come hanno testimoniato la documentazione e anche le dichiarazioni di  un amministratore giudiziario, per i dipendenti veniva registrato l’orario di entrata ma non quello di uscita. Al punto che l’amministratore fece istituire un registro nel quale i dipendenti avrebbero dovuto apporre la firma sull’orario di entrata e uscita. Una decisione alla quale Rispoli avrebbe tardato ad adeguarsi tanto da essere destinatario di due richiami verbali e una contestazione scritta.

Rimostranze “punite” con i trasferimenti

E se qualcuno avanzava qualche rimostranza?
La risposta era il trasferimento in una sede lontana visto i Perri avevano supermercati disseminati un po’ ovunque. È il caso di un ex dipendente il quale ha raccontato di di avere lavorato nel centro commerciale Atlantico e di avere fatto «qualche piccola richiesta, sempre rientrante nei miei diritti di lavoratore, e la risposta fornitami da Pasqualino Perri, è stata quella del trasferimento alla sede di Amantea, che sarà anche lecita formalmente ma mi ha costretto di fatto a dare le dimissioni, in quanto con 1000 euro di stipendio mensile e le spese relative al viaggio da affrontare, di fatto non avrei guadagnato nulla».
Il timore di tutti era quello di essere trasferiti in altri punti vendita «in caso di nostre richieste che vanno contro le regole», ha dichiarato una dipendente a ottobre 2019. Le regole, in questo caso, sono quelle imposte dalla ditta, non quelle imposte dalla legge.

«Prevaricazione fisica e morale»

I finanzieri segnalano anche casi di «prevaricazione fisica e morale».
Una donna, ascoltata a ottobre 2019, racconta: «Rispoli non era volgare, ma ha sempre assunto un atteggiamento opprimente all’interno del negozio. Io sono arrivata ad avere dei veri e propri stati d’ansia tanto da dover prendere medicinali tranquillanti per riuscire a dormire». La ex dipendente parla poi del caso di una collega che subiva particolari angherie da parte di Rispoli, Barresi e Pasqualino Perri. La deridevano anche per la sua costituzione fisica e quando la donna rimase incinta le consigliarono di abortire perché «essendo grassa non sarebbe riuscita a portare a termine la gravidanza». E questo non è accaduto a una sola lavoratrice. Non solo. Dopo la notizia della gravidanza, la donna venne impiegata anche come repartista (prima era alla salumeria) e questa nuova mansione la costringeva a prendere pesi e effettuare maggiori movimenti.
Anche un’altra donna ha riferito che una volta rimasta incinta ha cominciato ad avere problemi sul lavoro. Rispoli e la signora Anna «mi hanno cominciato a richiedere di sempre più spesso di alzare pesi e di sistemare i prodotti più pesanti negli scaffali».
Anche per poter andare in bagno i lavoratori dovevano chiedere il permesso a Rispoli. «Ricordo che prima di prendere la chiave del bagno dovevamo segnalare l’orario di entrata e successivamente alla riconsegna della chiave dovevamo segnare l’uscita». E se il tempo di riconsegna della chiave era considerato lungo Rispoli «ci rimproverava» e successivamente riferiva tutto a Pasqualino Perri che «a sua volta ci rimproverava con parole a volte volgari».

«Il clima di terrore e vietato parlare di sindacati»

«Nessuno dei dipendenti Perri è iscritto ad alcuno sindacato – racconta un’altra ex dipendente – in quanto la parola sindacato era proibita. Non posso dire chi materialmente avesse proibito di parlare dei sindacati, ma di fatto appena si avvicinava uno dei Perri oppure Rispoli i discorsi cessavano per paura di essere rimproverati o peggio».
Un uomo, ex lavoratore, parla di «clima di terrore» creato da Rispoli che «cercava sempre di denigrare tutti, sia uomini che donne». Anche l’uomo racconta del controllo sulla chiave del bagno e della strategia di mortificare per costringere a dare le dimissioni.
E c’è chi afferma davanti ai finanzieri: «Sentendo poi le voci che girano, a Lamezia la situazione è dappertutto così». (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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