MILANO A Milano «è dominante la vocazione imprenditoriale delle mafie per ragioni facilmente intuibili: si mimetizzano più facilmente, creano rete relazionali con il mondo dell’imprenditoria e della politica ma soprattutto creano consenso sociale. La ricerca spasmodica della criminalità mafiosa, specie della ‘ndrangheta ma anche dei siciliani, è l’accettazione sociale. Questo è il punto dolente. Nelle indagini accertiamo che 8 volte su 10 è l’imprenditore che cerca i servizi del mafioso perché è un modo semplice per aggiudicarsi una posizione da monopolisti, perché i mafiosi risolvono veramente ogni tipo di problema».
Così la coordinatrice della Direzione distrettuale antimafia di Milano Alessandra Dolci intervenendo in consiglio comunale a Milano. Perciò, prosegue, la piattaforma informatica per il controllo delle licenze commerciali degli esercizi della città di Milano – oggetto di un accordo tra il Comune, la Prefettura, la Camera di Commercio e le parti sociali – «per noi è molto importante», anzi «una simile banca dati può essere fondamentale».
«Il reinvestimento di capitali in attività di ristorazione – spiega Dolci – è un altro aspetto importante. Ha due chiavi di lettura, nei quartieri periferici comprare un bar significa marcare il territorio. Rilevare locali della movida in zone centrali e’ un investimento sotto un certo profilo, ma c’è anche un interesse per cui la frequentazione di questi locali è una occasione per fare rete e conoscenze. In questo caso la collaborazione tra la magistratura e la polizia locale può essere fondamentale nei controlli che si mettono in campo. Ci sono quartieri difficili nella periferia di Milano che presentano profili di grande interesse investigativo» e cita «Bruzzano, Comasina, Affori, la Barona: qui quei bar vanno chiusi».
Se è vero che la presenza della mafia a Milano, in particolare della ‘ndrangheta, «si manifesta soprattutto nel settore dell’edilizia e del movimento terra», settore dove ha storicamente «il monopolio», pensando «alle infrastrutture per Milano-Cortina» o «alle opere previste con i fondi Pnrr, siamo pronti? Siamo consapevoli del rischio di mettere fondi pubblici nelle tasche delle famiglie mafiose?». Secondo Dolci «non possiamo imporre al privato la certificazione antimafia ma possiamo fare moral suasion» e «sensibilizzare gli operatori economici e di categoria sull’importanza di stipulare protocolli di legalità con le società subcontraenti». La recente indagine della Dda milanese relativa ad alcuni subappalti proprio di Milano-Cortina, dice, potrebbe essere un «primo alert», una lezione da cui prendere “spunto” per «sensibilizzare le parti interessate», appunto. E prosegue: «Nell’ultimo periodo abbiamo applicato con una certa frequenza la misura preventiva dell’amministrazione giudiziaria nei confronti di imprese che non sono colluse ma che colposamente, non avendo fatto adeguati controlli, hanno agevolato imprese mafiose». A questo proposito «ho appreso che il Comune di Milano ha sottoscritto un patto con la Prefettura avente ad oggetto i controlli nei cantieri», aspetto che «è molto importante».
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