LAMEZIA TERME «… Avrei dovuto procurare molte armi perché bisognava fare pulizia a Vibo Valentia». A Natale 2015 Antonio Guastalegname riceve un ordine da Nazzareno Colace. «… Il gruppo nuovo dei Ranisi e dei Pardea (fece i nomi di Salvatore Morelli e Mommo Macrì) stava facendo un sacco di danni e quindi era arrivato il momento di fronteggiare tale situazione». Servivano armi per mettere a posto quel gruppo di giovani rampolli che stava cercando di soppiantare il potere costituto a Vibo città, ovvero il gruppo dei Lo Bianco-Barba, legati ai Mancuso di Limbadi. Era stato stabilito – racconta il collaboratore di giustizia Antonio Guastalegname – nel corso di una riunione alla presenza di Colace, del boss Luigi Mancuso, del capo cosca di Zungri Peppone Accorinti e di Paolino Lo Bianco che «era in difficoltà tanto è vero che si era lamentato “la sotto dallo Zio” della situazione che si era creata a Vibo e aveva chiesto il loro aiuto per sistemare le cose». Nazzareno Colace «mi chiese di procurare armi ed ordigni esplosivi che sarebbero stati utilizzati per sistemare la situazione su Vibo, indicando come possibili bersagli Salvatore Morelli (che tuttavia non so se in quel preciso momento fosse libero o meno, ma che sicuramente aveva un ruolo in quelle dinamiche) e i suoi accoliti che stavano seminando scompiglio a Vibo».
Ma i vertici del potere ‘ndranghetistico del Vibonese, a detta di Guastalegname, avevano in animo anche di eliminare colui che quello “scompiglio” lo aveva creato, cioè Andrea Mantella, collaboratore di giustizia dal maggio 2016 ma all’epoca in prigione e in attesa di uscire per proseguire a comandare il gruppo di giovani ribelli.
La paura era che Mantella, una volta uscito, avrebbe voluto vendicare la morte di Francesco Scrugli, avvenuto il 21 marzo 2012 a Vibo Marina, «dal momento che questo omicidio seppur commesso dagli Stefanaconi era riconducibile alla volontà ed alle strategie di Luni Mancuso “Scarpuni”(peraltro vicino allo stesso Colace)».
«Questo come esce ci viene a prendere a noi, meglio che ci guardiamo perché questo è malato di testa è pericoloso», avrebbe detto Colace a Mantella.
Ma Mantella non era uno qualunque e per ucciderlo Colace chiese a Guastalegname di «individuare due “talebani” (cosi lui chiamava i criminali di altre nazionalità presenti in Asti, in particolare i sinti e gli albanesi) che potessero essere assoldati per recarsi nel luogo dove era detenuto Mantella solo il tempo necessario per attentare alla sua vita (una volta uscito dal carcere), per poi commettere l’omicidio non appena Mantella avesse messo piede fuori dall’istituto e tornare subito dopo in Piemonte». La richiesta arriva a Guastalegname non a caso: lui era residente ad Asti e aveva contatti con la criminalità del posto. La cosca era pronta a investire 30mila euro sull’eliminazione di Mantella.
«La pianificazione dell’omicidio era stata già studiata nei minimi dettagli nel corso della riunione dal momento che già si sapeva chi sarebbe dovuto andare a prendere all’uscita del carcere Mantella ed al momento opportuno sarebbe stata messa a disposizione una macchina rubata, per cui io avrei dovuto soltanto assoldare i killer e mostrare loro il bersaglio», racconta Guastalegname. Il collaboratore dice pure che lui i killer ad Asti li aveva trovati: «Uno kosovaro ed uno albanese (che si chiamavano Flo il kosovaro e Fred l’albanese, soggetti che incontravo al centro scommesse) che erano disponibili a compiere l’omicidio per circa 5000 euro cadauno ed il resto l’avrei trattenuto per me».
In seguito anche Rocco Zangrà, referente dei rosarnesi in Piemonte, disse a Guastalegname «che poteva reperire gli ordigni con telecomando per l’importo di circa 6000 euro cadauno, mentre aveva prontamente disponibili delle bombe a mano». Anche i rosarnesi chiedevano armi da scendere giù e Guastalegname pensò che anche le cosche reggine erano state attivate nel piano concepito per uccidere Mantella. A stoppare le operazioni fu Nazzareno Colace il quale disse a Guastalegname che Mantella aveva «“mangiato la foglia” e fosse in procinto di collaborare con la giustizia. In ogni caso Colace insisteva per il reperimento delle armi ma fu poco dopo arrestato nell’operazione “Costa Pulita”». (a.truzzolillo@corrierecal.it)
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