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l’inchiesta

Lo zio (non indagato) di Gattuso citato nell’ordinanza del gip su un giro di usura ed estorsioni a Milano

Secondo una vittima l’uomo lo avrebbe messo in contatto con un esponente dei clan. Che gli disse: «Garantisci tu o ti scanniamo»

Pubblicato il: 21/07/2022 – 12:24
Lo zio (non indagato) di Gattuso citato nell’ordinanza del gip su un giro di usura ed estorsioni a Milano

MILANO Viene citato anche il nome di Damiano Gattuso «zio del calciatore», ossia di Gennaro “Rino”, ex centrocampista del Milan e della Nazionale e allenatore del Valencia, nell’ordinanza del gip di Milano su un blitz della Squadra mobile su un giro di usura ed estorsioni legato a clan della ‘ndrangheta.
Nel provvedimento, tuttavia, il parente dell’ex rossonero non risulta indagato. Si fa riferimento a Damiano Gattuso, «zio del calciatore», in una pagina del memoriale di una delle vittime dell’attività di strozzinaggio, perché, stando al racconto di quest’ultima, sarebbe stato Damiano Gattuso a metterlo «in contatto» con Orlando Demasi, affiliato alla mafia calabrese (per lui la custodia in carcere). La vittima ha parlato di un «incontro presso un bar a Gallarate», provincia di Varese, a cui erano presenti lui, Damiano Gattuso e Demasi.
Demasi gli avrebbe chiesto «di quanti soldi avessi bisogno e io gli dico 10mila euro, a tutta risposta lui mi dice – ha spiegato la vittima – ti costano il 40% (…) alla fine della discussione ci accordiamo per il 25% al mese». Demasi a quel punto avrebbe detto a Damiano Gattuso: «Guarda che ne rispondi tu! Di questi soldi se lui non paga prima scanniamo a lui e poi veniamo da te! E a noi non interessa chi è tuo nipote!».

«Restituii i soldi e Damiano Gattuso tirò un sospiro di sollievo»

«Dopo una decina di giorni – ha raccontato ancora la vittima – mi chiama Damiano perché è stato contattato da Orlando Demasi per darmi i primi 10mila euro, io a mia volta consegno un assegno a garanzia dietro la preoccupazione di Damiano. Dopo un mese alla scadenza, io restituisco i soldi ad Orlando (…) e Damiano fa un sospiro di sollievo e io lo ringrazio di tutto». Dopo un mese Demasi sarebbe tornato nel capannone dell’imprenditore vittima del presunto strozzinaggio, tra l’altro arrestato 3 anni fa in un’inchiesta su un traffico illecito di rifiuti. «Con naturalezza ma quasi sottovoce – ha spiegato – mi dice “io vendo soldi” e tu ne hai bisogno, se tu mi sarai fedele, ti darò modo di non avere più bisogno di soldi, l’importante è “non sgarrare”».

Il sistema di “cartiere” per nascondere l’attività di usura

L’inchiesta del pm Francesco De Tommasi della Dda milanese e’ nata proprio dalle dichiarazioni dell’imprenditore dopo il suo arresto. Dall’indagine, scrive il gip Fiammetta Modica, è emersa la figura di Demasi, che ha la “dote” della “camorra” nel clan e che «vendeva denaro e, tramite un giro di società allo stesso sostanzialmente riconducibili e l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, forniva una copertura ad ingenti movimenti di soldi, funzionali a plurimi scopi suoi e dei suoi “clienti”». È venuto a galla «un sistema solido di “cartiere” intestate a prestanome, quasi sempre coincidenti con i cosiddetti “monetizzatori” e intestatari di conti correnti anche on line» pure presso una «banca tedesca». Tra gli arrestati (ai domiciliari) Umberto Zivieri, titolare di una delle società riconducibili a Demasi. In carcere sono finiti anche Sebastiano Forte, amministratore di fatto di società con Demasi, e Sebastiano D’Asta, titolare di un’altra società. (Ansa)

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