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affari mafiosi

Così i clan si dividono il business dei tagli boschivi per evitare guerre di ‘ndrangheta

La pace imposta da Luigi Mancuso dopo guerre (e i morti) per il controllo delle aree interne. I patti per favorire le imprese “amiche” e la spartizione del territorio tra le famiglie Iozzo, Bruno …

Pubblicato il: 25/07/2022 – 7:10
di Pablo Petrasso
Così i clan si dividono il business dei tagli boschivi per evitare guerre di ‘ndrangheta

CATANZARO C’è una geopolitica mafiosa anche nei boschi. La sentenza del troncone del processo Imponimento che si è celebrato con il rito abbreviato illumina le attività e i contatti di capi e membri della cosca Anello. Senza trascurare un aspetto non secondario dei business sui quali il clan di Filadelfia ha messo, nel corso degli anni, le mani.
Il mercato dei lotti boschivi è, secondo il gup, «uno dei settori controllati (…) nell’ottica della spartizione delle aggiudicazione degli appalti alle imprese riconducibili a soggetti vicini alla cosca». Lo scopo è quello di «garantire la turnazione» delle ditte “amiche”. E anche quello di evitare sovrapposizioni con le ‘ndrine dell’area a cavallo tra le Pre Serre vibonesi e catanzaresi. In passato, i “conflitti di competenza” mafiosi hanno provocato faide sanguinose; la garanzia degli equilibri, dunque, ha sia un senso economico che “politico”: garantisce introiti importanti ed evita conflitti che potrebbero attirare l’attenzione delle Procure.

La spartizione dei Comuni montani tra le “famiglie”

Le motivazioni della sentenza si affidano (anche) a un’intercettazione del 14 marzo 2017 per raccontare l’importanza del taglio boschivo nelle attività del clan. Dopo aver incontrato il boss Rocco Anello, infatti, l’imprenditore di Maierato Daniele Prestanicola (condannato in questo giudizio a 16 anni) «e tale “Ciccio”» accompagnano Antonio Talarico, altro imprenditore condannato a 15 anni e 8 mesi, «in un luogo non meglio specificato». Durante il tragitto, Ciccio, parlando con Prestanicola, chiede «se Talarico fosse il responsabile dell’impresa di trivelle (di cui evidentemente aveva sentito parlare poco prima)». Prestanicola risponde di sì e aggiunge che «in generale le attività spaziavano dal movimento terra al settore boschivo e alle forniture di calcestruzzo».
Per il gup tre famiglie si spartiscono «il territorio boschivo». Gli Iozzo avrebbero «competenza» sui Comuni montani di Chiaravalle Centrale, San Vito sullo Jonio, Cenadi, Gagliato e Petrizzi. La famiglia Bruno “governerebbe” su Vallefiorita, Amaroni, Girifalco, Palermiti, Squillace, Olivadi, Centrache e Cenadi. E gli Anello, invece, estenderebbero il proprio dominio su Filadelfia, Polia, Monterosso Calabro, Capistrano e Cenadi.
È un pentito, Salvatore Daniele detto Turi, arrestato nell’operazione Jonny come membro della cosca Bruno, a raccontare ai magistrati della Dda di Catanzaro che, vista l’abbondanza di aree boschive e di gare espletate (ben quattordici negli ultimi cinque anni), «il territorio confinante con i comuni di competenza di tutte e tre le famiglie, veniva ritenuto di competenza “collettiva”». Cenadi, in particolare, si trova al centro delle aree di pertinenza di tre clan.

Prima e dopo l’omicidio di Damiano Vallelunga

Prima e dopo l'omicidio di Damiano Vallelunga

Il bilanciamento di poteri in nome degli affari, però, è sempre precario. Secondo il racconto di Danieli, «la divisione degli appalti per territorio di competenza è stata rispettata fino alla morte del capo cosca di Vallefiorita Giovanni Bruno, detto u Boss e, successivamente, fino alla morte di Giuseppe Bruno, fratello di Giovanni, al quale era subentrato». Poi, tra Rocco Anello e Giovanni Bruno, «in precedenza molto legati, si era creata una distanza in quanto Bruno era molto vicino al boss dei Viperari Damiano Vallelunga, con il quale Anello aveva interrotto i rapporti».
Una delle letture fornite dagli esponenti dei clan è che Anello sia riuscito a scampare alla morte proprio grazie al proprio allontanamento da Vallelunga, ucciso nel 2009 in una faida che ha visto coinvolte famiglie del Catanzarese e del Reggino. Vallelunga sarebbe stato freddato per la sua intransigenza: non avrebbe voluto cedere spazio ai clan “stranieri” nel proprio territorio, a Serra San Bruno, tenendo per sé il business dell’eolico. Uscito indenne da quella guerra, Rocco Anello avrebbe poi beneficiato dell’intervento di Luigi Mancuso, capo supremo della ‘ndrangheta vibonese. Una volta uscito dal carcere, Mancuso avrebbe lavorato a una «strategia di “pace” tra le varie cosche della zona, fondata sulla spartizione dei territori tra le stesse».

La pace imposta da Luigi Mancuso. «Ognuno sta nel suo. E chi sbaglia paga»

Questa scelta viene riassunta nell’intercettazione citata in sentenza: «Ha chiamato a tutti: Rocco, a tutti quanti. Dice: qua le cose si devono mettere a posto: ognuno ha il suo territorio… e non deve andare a rompere i coglioni all’altro. Ognuno sta nel suo, belli garbati, precisi. (…) Dobbiamo fare le cose, da oggi in poi, col silenzio: chi sbaglia, paga». Un manualetto di mafiosità, sintetizzato da Nicola Antonio Monteleone, uomo ritenuto vicino al clan di Filadelfia e condannato a 20 anni in primo grado.
La nuova amicizia tra le famiglie Bruno e Anello sarebbe stata sancita proprio da una gara per un lotto boschivo. Ancora il pentito Danieli racconta che Giuseppe Bruno – che sarebbe stato ucciso il 18 febbraio 2013 assieme alla moglie – «aveva riallacciato i rapporti con Rocco Anello». E aveva raggiungo il boss di Filadelfia a casa per chiedere e ottenere l’aggiudicazione di una gara boschiva nel territorio del boss di Vallefiorita, «a favore dell’imprenditore boschivo Domenico Ciconte», il quale, «aggiudicatosi la gara», avrebbe «corrisposto a Bruno e a Danieli, in tre tranches, la somma di 15mila euro».

La gara per il bosco di Borgia aggiudicata con un aumento del 90% sulla base d’asta

Delle quattro ditte partecipanti, quella di Ciconte aveva presentato di gran lunga l’offerta meno conveniente per il Comune di Borgia. La base d’asta per il bosco in località “Montagna Ducale” era di 37.100 euro. La ditta di Ciconte Pasquale, fratello di Domenico, se l’aggiudicò per 69.587 euro, con un aumento del prezzo posto a base d’asta dell‘87,57%. Stranamente, però, «le ditte concorrenti (…) erano cadute in errori grossolani e ingenui errori formali nella procedura» ed erano state escluse. Un caso “fortunato” per la ditta che aveva sancito la “pace” tra i due clan confinanti. (p.petrasso@corrierecal.it)

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