Non lo immaginava certo Rocco Docimo che la sua perifrasi professionale si intrecciasse con la città in cui è celebrata storicamente la mano di Dio.
Certo non è blasfemo l’accostamento a Maradona, vent’anni dopo la scomparsa di questo gigante della chirurgia italiana, andato via troppo presto, a 74 anni.
Nativo di Rose, figlio del grande Ludovico, Rocco Docimo è riuscito nell’impresa di superare il padre, diventando non solo direttore della scuola di specializzazione in chirurgia dell’università di Napoli ma anche presidente della società italiana del settore.
Paziente e disponibile, eternamente legato alla sua sigaretta (pare che dopo ogni intervento ne fumasse cinque o sei consecutive) Docimo ha rappresentato il massimo dell’eccellenza sanitaria calabrese trapiantata nel resto d’Italia. I cosentini napoletani, insieme a lui D’Andrea, Misasi, diventarono il punto di riferimento extraregionale del mondo della sanità.
Se elencassimo i medici cosentini e calabresi formati da lui perderemmo il conto.
Lui, di fatto, era un fuoriclasse ma non si allontanò mai dalla sua Rose, paesino in cui è sepolto.
La sua amarezza più grande fu la mancata elezione a sindaco nella seconda metà degli anni 90. Chi scrive ricevette una telefonata di Gianfranco Fini a sostegno della sua tentata scalata.
Sposato con una Pastore, importante famiglia cosentina, ha avuto tre figli che hanno scelto la sanità come approdo. Ludovico e Gianni, docenti di Chirurgia a Napoli, e Raffaella, docente universitaria di Odontostomatologia. Chi non ha seguito le sue orme è Patrizia, eccellente manager nel settore comunicazioni.
Napoli è stata la città dell’approdo, il luogo concreto della sua affermazione, preconizzazione dell’arrivo del Dio del calcio con il quale condivideva, appunto, la mano di Dio. E da quella mano il ricordo indelebile che non passa mai.
*giornalista
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